animali circo

SALERNO – L’emergenza coronavirus ha rallentato le nostre vite, imponendoci di modificare la quotidianità e costringendoci ad una necessaria “prigionia”. Eppure, nonostante i disagi, le nostre sono “gabbie” spaziose, in cui possiamo scegliere quando mangiare, dormire, muoverci, comunicare con i nostri simili. Non siamo sottoposti a tortura e, soprattutto, sappiamo che ne usciremo. Questa reclusione forzata dovrebbe insegnarci qualcosa: che la libertà è un diritto fondamentale di tutti, uomini ed animali.

In questi ultimi giorni, in diverse città d’Italia, comprese le vicine Caserta e Torre del Greco, alcuni circhi, che come tutte le attività hanno interrotto i loro spettacoli per i provvedimenti volti a contenere la diffusione del virus, hanno lanciato appelli alle Istituzioni e ai cittadini, motivando la richiesta di aiuto con il fatto che, le scorte alimentari per gli animali, stavano per terminare. Eppure è da oltre trent’anni che, per effetto della legge 163 del 1985, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali stanzia ogni anno, attraverso il Fondo Unico per lo Spettacolo, milioni di euro solo per finanziare le attività circensi.

Dal circo Lidia Togni, che a Salerno avrebbe dovuto smontare i tendoni lo scorso 1° marzo, non si hanno notizie, ma sulla sua pagina Facebook si legge che aveva già sospeso le esibizioni dal 27 febbraio e, per quanto ci è noto, dovrebbe essere ancora in via Salvador Allende, impossibilitato a fare spettacoli ma fermo con il personale e gli animali reclusi al suo interno. Auspichiamo pertanto un controllo da parte della Polizia Municipale e degli organi preposti, a cui abbiamo già fatto richiesta formale, affinché vengano verificate le condizioni degli animali.

Cogliamo l’occasione per ribadire il nostro fermo dissenso in merito a questi luoghi di detenzione. Animali appartenenti a specie che in natura si spostano lungo percorsi di centinaia di chilometri, nei circhi passano l’intera vita negli squallidi vagoni-gabbia dei camion che li trasportano. Il risultato è la noia, la frustrazione e chiari segnali stereotipati. Alla reclusione a vita, come se non bastasse, si aggiungono i metodi coercitivi: solo la paura delle punizioni può spingere un animale a comportamenti totalmente contro natura, patetici e disperati, frutto di violenze, come testimoniato da numerosi lavoratori e da video facilmente reperibili in internet.

Il nostro pensiero, però, va a tutti gli animali vittime dell’uomo che conoscono solo sofferenza e privazione. Dai vitelli, ai polli, ai maiali e a tutti gli altri esseri senzienti destinati a finire nei nostri piatti, impossibilitati a muoversi all’interno di gabbie o capannoni in condizioni igieniche raccapriccianti. Va ai reclusi negli stabulari per la sperimentazione animale o per diventare un accessorio di moda. Va a chi trascorrerà tutta la vita in gabbie minuscole perché trasformato in richiamo vivo per la caccia e agli uccelli, ai pesci rossi e ai roditori, che rinchiudiamo per la nostra ossessione di dover possedere a tutti i costi un animale. Va ai prigionieri senza alcuna colpa nei canili e nei gattili, in quanto è ancora lontana la consapevolezza che, per combattere il randagismo, l’unico modo è non comprarli né farli nascere: solo se possiamo dare una vita felice ad un animale abbandonato compiamo un atto di generosità. In tutti gli altri casi si tratta di un atto di egoismo.

Usciremo dall’emergenza coronavirus e sì, andrà tutto bene. Speriamo però di uscirne persone migliori e più consapevoli e rispettose dei diritti di tutti.

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