NAPOLI (Di Anna Calì) – L’estate, altrove, è il tempo leggero dei sogni. È la stagione dei gelati che si sciolgono in mano, delle partenze all’alba, delle valigie piene di promesse. È il tempo dell’attesa che si realizza. Ma a Napoli, troppo spesso, l’estate si trasforma in un copione già scritto. Una tragedia che si ripete, anno dopo anno, cambiando solo i nomi delle vittime e le vie che ne custodiranno la memoria.
A Napoli, nel pomeriggio del 25 giugno l’ennesima tragedia. In via Peppino De Filippo, a due passi da Via Foria, un’esplosione squarcia il tranquillo pomeriggio dal sapore estivo. A perdere la vita è stato Giovanni Scala, 57 anni, un uomo che, proprio poco prima della terribile tragedia, aveva confessato di sentirsi “strano”, “affaticato”. Avrebbe voluto restare a casa. Una sensazione, un malessere, forse il corpo che percepiva ciò che la mente non poteva ancora comprendere. Ma alla fine, Giovanni è andato. E lì è finito tutto.
Una bombola, forse. O una fuga di gas. Poco importa la causa, quando l’effetto è un corpo coperto da un telo argentato e tre persone ferite, tra cui una donna gravissima. Il destino ha agito senza chiedere permesso, e Napoli ha perso un altro pezzo di sé.
Eppure, quella di ieri non è un’eccezione. È solo l’ennesima pagina estiva del nostro dolore.
Nel luglio del 2017, a Torre Annunziata, una palazzina crollò nel sonno: otto morti, tra cui due bambini. Nessun allarme, solo silenzio e polvere.
Nel settembre dello stesso anno, a Pozzuoli, due genitori morirono nel tentativo di salvare il figlio sprofondato in una voragine solfatara.
Nel 2010, un treno della Circumvesuviana deragliò a Gianturco: un uomo morì, oltre 50 furono i feriti. Era il 6 agosto, il cuore dell’estate.
Nel 2024, a Scampia, il ballatoio della Vela Celeste crollò senza pietà: due morti, tredici feriti. Un dolore previsto, segnalato, ma ignorato.
Sempre nel 2024 a Saviano, un’altra palazzina venne giù: due piani crollati all’improvviso, senza preavviso, in via Tappia. A morire sotto le macerie furono una madre con due figli di 4 e 6 anni e la nonna; mentre il padre e l’altro figlio si salvarono per miracolo. Un’intera famiglia spezzata, una ferita che resta aperta.
E come dimenticare il sisma di Ischia del 2017, che devastò Casamicciola e lasciò centinaia di famiglie senza casa? Era agosto anche allora.
Tutto accade d’estate. Come se il sole, qui, non portasse solo calore ma anche crepe. Crepe nei muri, nelle fondamenta, nella vita.
E Napoli, che sogna l’estate come tutti, si ritrova invece ogni anno a contare i suoi morti, a ingoiare lacrime con il sapore del sale e della polvere.
Certo, molte di queste tragedie non hanno un colpevole umano. Nessuno comanda i terremoti, nessuno prevede un’esplosione. Eppure, altre volte sì. Altre volte il destino si presenta con un preavviso che non viene ascoltato. E allora, più che destino, diventa colpa. E più che caso, diventa abbandono.
Napoli si interroga, ogni volta. Ma le risposte arrivano sempre troppo tardi. Quando il sole è già alto, quando la sirena ha già smesso di suonare. Quando c’è solo da scavare, identificare e ricostruire le dinamiche.
L’estate, per questa città, è diventata una stagione sotto assedio.
Non la si aspetta con leggerezza, ma con il fiato sospeso.
Perché da queste parti, quando fa caldo, può succedere qualsiasi cosa.
E non tutti torneranno a casa per cena.
Giovanni Scala, forse, avrebbe voluto solo riposare. Assecondare quella stanchezza strana che gli si era appiccicata addosso. Ma è andato lo stesso, come tanti. Con il pensiero a un domani che non sarebbe arrivato.
E allora viene da chiedersi se davvero esista qualcosa lassù, un disegno che muove i fili, un destino che sceglie, a volte, di essere spietato proprio quando si dovrebbe essere più felici.
Forse è solo estate. Ma a Napoli, ormai, l’estate ha il sapore delle tragedie.
Un sapore amaro che resta in bocca a lungo, anche quando il sole se ne va.
E anche il mare, certe volte, pare avere vergogna a brillare.
Sì, sarà solo un caso. Uno scherzo del destino, beffardo e crudele, che si diverte a mettere la firma sulle nostre estati; ma è difficile ignorare che, proprio quando si dovrebbe sorridere di più, qui si pianga più forte.
È come se il calendario si divertisse a infilare i giorni più bui nel cuore della stagione più chiara. Come se l’estate, a Napoli, fosse una regina vestita d’oro che però porta lutto sotto il vestito, e noi restiamo a guardarla, ogni anno, col fiato sospeso. Sperando che, stavolta, passi senza fare rumore e che l’estate che verrà del prossimo anno non porti con sé altre vittime, altre ferite, altre macerie e altre lacrime.


















