NAPOLI (Di Anna Calì) – In Italia il fumo uccide, ammala e costa. Ma resta legale, venduto quotidianamente nei tabaccai con licenza statale. Un paradosso tutto italiano: mentre lo Stato promuove campagne antifumo, intasca oltre 14 miliardi di euro all’anno in accise sul tabacco. Un sistema che cura le ferite di una dipendenza con una mano, e con l’altra la alimenta.
Il fumo, però, non è solo un vizio privato. È un moltiplicatore di malattie cardiovascolari, di patologie respiratorie croniche e tumori polmonari. E la sua portata non si ferma alla sigaretta accesa, ma invade ambienti e corpi anche di chi non ha mai scelto di fumare.
La medicina non ha dubbi: il fumo è la prima causa evitabile di morte al mondo. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, in Italia provoca ogni anno circa 93.000 decessi.
I polmoni sono le prime vittime. L’inalazione cronica di fumo riduce la capacità respiratoria, danneggia in modo irreversibile i bronchi, compromette gli alveoli e prepara il terreno a patologie devastanti, quali: bronchite cronica ostruttiva, enfisema e carcinoma polmonare. I fumatori hanno un rischio fino a 20 volte superiore di sviluppare un tumore al polmone rispetto ai non fumatori.
E non si tratta solo di tumori. Il fumo causa l’ispessimento delle pareti arteriose, favorendo così anche la formazione di placche e accelera l’aterosclerosi. Il risultato? Aumento esponenziale di ictus, infarti del miocardio, ischemie e aneurismi. Le malattie cardiovascolari legate al tabagismo rappresentano oltre il 30% della mortalità correlata al fumo.
Ogni sigaretta accorcia la vita, danneggia i tessuti e compromette la salute vascolare. La nicotina crea dipendenza, ma è l’intero cocktail chimico contenuto nel fumo a devastare del tutto l’organismo.
Ma c’è anche un’altra forma di violenza che non fa rumore, ma lascia dietro di sé danni irreversibili; ossia quella del fumo passivo. Respirare l’aria contaminata dalle sigarette altrui significa essere costretti a subire le conseguenze di una scelta non propria. E il conto da pagare è altissimo.
Nel mondo, il fumo passivo uccide oltre 1,2 milioni di persone ogni anno, secondo l’OMS Le vittime sono spesso invisibili: bambini, neonati, donne in gravidanza, lavoratori esposti e anziani che vengono colpiti nei luoghi pubblici, nei mezzi di trasporto, nelle case, ma anche negli spazi aperti.
L’effetto tossico dell’esposizione passiva è documentato: nei minori provoca bronchiti, polmoniti, asma, favorisce otiti ricorrenti e compromette lo sviluppo polmonare. Nei casi più gravi, aumenta il rischio di sindrome della morte improvvisa del lattante.
Negli adulti non fumatori, l’inalazione di fumo altrui determina un aumento del rischio fino al 30% per infarto, ictus, malattie coronariche e tumore al polmone. Il corpo umano, anche se “non fumatore”, viene avvelenato con la stessa brutalità.
Negli ultimi anni alcuni Comuni italiani tra cui Milano, Verona, Firenze, Napoli hanno adottato divieti di fumo anche all’aperto, in prossimità di fermate dei mezzi pubblici, aree verdi, scuole e parchi pubblici. Ma si tratta, ancora una volta, di iniziative locali, frammentate e per lo più ignorate.
La verità è che questi divieti non vengono rispettati, né realmente sanzionati. La percezione collettiva è che all’aperto il fumo si disperde, ma la scienza dimostra il contrario, poiché le particelle tossiche del fumo persistono nell’aria, e pertanto l’esposizione passiva resta comunque pericolosa.
Altri Paesi hanno scelto un approccio più strutturato e coerente. In Cina, per esempio, esistono cabine per fumatori all’esterno, isolate, ventilate e delimitate, che permettono ai fumatori di non rinunciare al gesto, ma senza imporne le conseguenze a chi li circonda.
Non si fuma camminando, non si fuma dove capita: si fuma solo dove è permesso e predisposto. E persino sui treni dove si potrebbe pensare che il divieto sia assoluto esistono carrozze dedicate esclusivamente ai fumatori, sigillate, ventilate e separate dal resto del convoglio.
Non è proibizionismo, è civiltà regolata. È l’idea che la libertà individuale finisca dove comincia la salute altrui.
In Italia, invece, si preferisce l’illusione del divieto senza controllo e senza sanzione. Il fumatore continua a godere di una zona grigia di tolleranza, mentre il non fumatore resta esposto, inerme e ignorato completamente.
E lo Stato assiste in silenzio a questa cronica violazione del diritto alla salute, come se nulla fosse; decidendo di giocare su due fronti: incassando oltre 14 miliardi di euro all’anno in accise sul tabacco, ma spendendo quasi il doppio per curare le conseguenze come: terapie oncologiche, cure per malattie respiratorie e cardiovascolari, ricoveri ospedalieri e farmaci.
Nel frattempo, si rincarano le sigarette tradizionali e quelle light elettroniche, riscaldate, aromatizzate spacciate come alternative meno nocive, ma con effetti ancora non completamente studiati sul lungo termine.
C’è una domanda che resta sospesa nell’aria, proprio come il fumo che respiriamo: se il fumo fa male, perché è ancora legale?
Non bastano più gli avvertimenti sulle confezioni, gli spot e i rincari annuali. L’evidenza scientifica è schiacciante. Il danno sanitario è incontestabile. Il costo sociale è insostenibile. Eppure, la sigaretta continua a essere venduta con licenza dello Stato, come se fosse un vizio innocuo, peccato che non lo sia.
La scelta dello Stato di non vietare la vendita del tabacco, ma di limitarsi a regolamentarlo e incassarne i profitti, rappresenta una responsabilità politica, etica e sanitaria gravissima.
Non serve solo aumentare i prezzi o delimitare le aree di consumo. Serve una scelta di campo. Un giorno, forse troppo lontano ci si chiederà perché l’Italia, pur sapendo, non abbia fatto ciò che andava fatto: vietare per sempre la produzione e la vendita di sigarette, di qualsiasi tipo.
Fino a quel momento, continueremo a curare ciò che noi stessi, come società, stiamo scegliendo di ammalare.
















