NAPOLI (Di Anna Calì) – Napoli è la città delle contraddizioni, lo sappiamo. Ma c’è un limite anche al grottesco. In Piazza Mercato è comparso un Pinocchio alto cinque metri, firmato Jori, seduto in posa filosofica come se riflettesse sul destino del mondo. Noi, invece, riflettiamo sul destino della città. E la domanda che sorge spontanea è: ma davvero ci serviva un burattino per ricordarci che viviamo in mezzo alle bugie?
La prima bugia è che questo sarebbe arte pubblica. No, non lo è. È un’installazione scenografica, un’operazione di marketing spacciata per cultura. Un’opera fotogenica, instagrammabile, buona per strappare qualche applauso dai bambini (che, per carità, non sono critici d’arte), e qualche condivisione social. Ma dietro la posa del Pinocchio, resta tutto com’era: degrado, incuria, sporcizia, una piazza che cade a pezzi e un quartiere dimenticato.
La seconda bugia è ancora più grave: ci raccontano che iniziative come queste servono a valorizzare il territorio. Ma Piazza Mercato non ha bisogno di una statua pop, ha bisogno di una riqualificazione strutturale. Servono fondi veri, progettualità seria, e non una gigantesca figura in resina che, alla fine, serve solo a distrarci dal fallimento urbanistico di un’intera zona.
E mentre ci parlano del significato simbolico dell’opera, la coscienza, la verità, il risveglio, il popolo napoletano cammina tra rifiuti, sampietrini sconnessi, siringhe abbandonate e negozi chiusi da anni.
Nel frattempo, il Comune continua a investire in installazioni temporanee e pseudo-artistiche. Dalla sedicente arte urbana a Piazza Municipio, fino all’ultima provocazione di Via Duomo con “Chi sei Napoli?”, e così si bruciano soldi pubblici in iniziative che non lasciano nulla, se non l’ennesima foto da brochure.
La Consigliera Marì Muscarà tuona forte contro l’ennesimo scempio presentato in città: “È quello che penso, purtroppo, e lo pensavo anche delle altre opere piazzate a Napoli: in assenza di una qualsiasi politica reale sui bisogni della città, si copre l’incapacità amministrativa con queste pseudo-opere d’arte. Piazza Mercato, che storicamente era il cuore pulsante della città, e lo è stato anche in epoca recente, come mercato vivo e attivo, avrebbe bisogno di ben altro tipo di riqualificazione. Penso al fatto che, proprio davanti al Pinocchio, ci sono le Torri Angioine: da tempo circondate da siringhe, rifiuti, sporcizia. In quel piccolo fazzoletto di verde attorno, dormono i senzatetto.
E poi ci sono le fontane antiche, le sfingi: fino ad aprile, non so se qualcosa sia cambiato, erano ancora una volta state sfregiate, i volti delle sfingi dipinti di nero. Parliamo della Fontana del Seguro. Piazza Mercato, e Napoli in generale, hanno bisogno di altro. Questo Pinocchio sembra più che altro un test: un esperimento per vedere fino a che punto possa spingersi la nostra sopportazione e la nostra indifferenza.
So che recentemente il Pinocchio è stato bersaglio di lanci di uova da parte dei ragazzini del quartiere. Gesto sicuramente sbagliato, ma quando un’opera non viene compresa, né accettata né condivisa, diventa qualcosa di estraneo. E quando l’arte risulta estranea, succedono queste cose.
Spero davvero che finisca questa lunga, sterile esposizione di pseudo-arte ad opera del curatore di “Napoli Contemporanea”, Vincenzo Trione.”
Ma di chi è la colpa? Dei politici che scambiano l’estetica per contenuto? Degli artisti che accettano di trasformarsi in scenografi? O dei cittadini che, rassegnati, si accontentano di vedere un Pinocchio al posto di un cantiere? La verità è che il Pinocchio, in questa storia, non è solo un’opera. È un’allegoria. Siamo noi. Siamo noi i burattini di un sistema che ci regala sogni in plastica mentre ci toglie tutto il resto.
E attenzione: qui non si tratta di demonizzare l’arte. Si tratta di pretendere che l’arte sia strumento di cambiamento reale, non un alibi per lavarsi la coscienza. Piazza Mercato potrebbe essere un polo culturale vivo, un luogo di socialità, storia, economia. E invece resta una scenografia malinconica, con un Pinocchio seduto al centro, muto e complice del nulla che lo circonda.
Napoli merita di più. Merita verità, non favole. E chi oggi applaude dinanzi a quest’opera, domani non si lamenti se a decidere della città saranno sempre gli stessi… burattinai.
















