NAPOLI (di Francesca Pia Piantarosa) – Lavorare nel digitale, con pochi sforzi e tanto guadagno, è il sogno della maggior parte dei giovani della Generazione Z, ossia i nati tra la fine degli anni ’90 e il primo decennio dei 2000, ma quello che in pochi sanno è che anche i proventi di queste professioni sono soggetti alla pressione fiscale e quindi a tassazioni.
Nello specifico dell’immaginario comune, la figura di riferimento nel settore dei mestieri on-line è senza dubbio quella dell’influencer, il cui compito è letteralmente quello di “influenzare”, nel senso vero e proprio di condizionare le scelte e il pensiero di chi li segue sui social media, come la decisione di acquistare un prodotto o addirittura la propria visione social-ideologica su vari argomenti. Maggiore è il numero di follower, maggiori saranno chiaramente i profitti per singolo post, per non citare quelli pubblicati in collaborazione con aziende a fine inserzionistico. Sono tanti i brand che si avvalgono del loro potere mediatico per sponsorizzare le novità lanciate sul mercato, seguendo una semplice catena di montaggio: l’azienda regala prodotti all’influencer, che li sponsorizza e riceve in cambio denaro per la sua prestazione.
Sommando quindi queste entrate si arriverebbe a cifre esorbitanti, tra i 100 e gli 80.000 euro per singola pubblicazione, con un guadagno annuo a sei cifre minimo; il sogno di chiunque, se non fosse che questi sono i compensi a lordo e non al netto. Come ogni mansione anche quella dell’influencer deve sottostare alle regolamentazioni statali, seppur spesso agevolata poiché ritenuta un’attività professionale minore: tra partita IVA, contributi fissi e variabili da versare alla Gestione Commercianti INPS e percentuali d’imposta, lo stipendio netto di un influencer è pari a poco più della metà dell’importo lordo.
Il totale percepito resta indubbiamente considerevole, ma l’evasione fiscale coinvolge anche chi queste somme potrebbe pagarle senza particolari disagi; non sono pochi i content creator italiani che hanno deciso infatti di trasferire all’estero il loro business, spostandosi ad esempio in Stati come Malta o Andorra, dove le tassazioni sono estremamente misere o addirittura nulle, nel caso invece degli Emirati Arabi. Tuttavia non si tratta di una procedura senza complicazioni, perché chiaramente un controllo più serrato da parte della Guardia di Finanza solleverebbe facilmente il veso di Pandora dell’evasore, che non potrà dimostrare il suo effettivo trasferimento in quel paese. C’è anche chi in maniera più sfacciata cerca semplicemente di aggirare il sistema finanziario soltanto non pagando le tasse, ma anche qui l’asino casca e sono infatti ad oggi ben 11 gli influencer indagati per frode, per un totale complessivo di circa 2 milioni di euro da risarcire alle casse dello Stato.
Influencer e tasse: l’altra faccia del lavoro più gettonato dalla Gen-Z
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