Napoli- di (Vania Fereshetian)
Un inviato immaginario, ma con il cuore tra le macerie.
La notte del 9 ottobre 2025 ha portato qualcosa che a Gaza sembrava ormai appartenere al regno dei sogni: il silenzio. Non il silenzio della paura, ma quello della tregua. Per la prima volta dopo mesi di devastazione, il cielo sopra la Striscia non ha tremato. Nessun boato, nessuna sirena. Solo il suono della vita che, timidamente, prova a riaffacciarsi.
Occhi che brillano nel buio
Le immagini che arrivano da Gaza sono un pugno allo stomaco e un abbraccio al cuore. Bambini che corrono tra le rovine con un pallone sgonfio, madri che stringono i figli come se potessero proteggerli dal tempo stesso, uomini che piangono senza vergogna. È il delirio della speranza, il miracolo di una notte senza bombe. E negli occhi di chi ha perso tutto, si legge ancora il desiderio di un mondo migliore.
L’accordo che ha fermato il fuoco
Il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, firmato in Egitto e promosso dagli Stati Uniti, rappresenta la prima fase di un piano che potrebbe cambiare il destino di milioni di persone. Prevede:
Il rilascio di 20 ostaggi vivi da parte di Hamas e la restituzione delle salme di chi non ce l’ha fatta. La liberazione di circa 2.000 prigionieri palestinesi, tra cui 250 condannati all’ergastolo. Il ritiro delle truppe israeliane dalla maggior parte della Striscia. L’apertura di corridoi umanitari e l’ingresso di aiuti, con l’UNRWA pronta a distribuire scorte per almeno tre mesi.
Un passo verso la giustizia
Non è un accordo perfetto. Non risolve tutto. Ma è un passo. E per chi ha vissuto sotto le bombe, ogni passo verso la pace è un atto di giustizia. Mahmoud Abbas ha espresso la speranza che questo possa essere l’inizio di un processo verso uno stato palestinese. Netanyahu, invece, ha mostrato riserve. Ma oggi, più che mai, le voci dei leader devono lasciare spazio a quelle del popolo.
Solidarietà oltre i confini
In Italia, in Europa, nel mondo, l’accordo è stato accolto con favore. Ma la vera solidarietà non si misura in dichiarazioni politiche. Si misura nella capacità di guardare Gaza e vedere esseri umani, non numeri. Di sentire il dolore di chi ha perso tutto e non voltarsi dall’altra parte. Di riconoscere che nessuno merita di vivere sotto le bombe, che ogni bambino ha diritto a una scuola, a un sogno, a una carezza.
Un genocidio troppo lungo
Quello che è accaduto a Gaza non può essere dimenticato. Le case distrutte, le vite spezzate, le generazioni cresciute tra le macerie. È un genocidio che è durato troppo a lungo, e che ci interroga come esseri umani. Non serve schierarsi politicamente per provare empatia. Basta avere un cuore.
E ora?
La tregua è fragile. Il futuro incerto. Ma stanotte, Gaza ha respirato. E noi, da ogni angolo del mondo, abbiamo il dovere di ascoltare quel respiro. Di proteggerlo. Di far sì che non sia solo una parentesi, ma l’inizio di una nuova pagina.
Perché la pace non è un lusso. È un diritto. Anche per chi è nato sotto un cielo che non ha mai smesso di esplodere.




