NAPOLI (Di Anna Calì) – Napoli investe nella cultura: due milioni di euro per rimettere in moto la rete delle biblioteche comunali. Dopo anni di porte sbarrate, scaffali vuoti e libri dimenticati, la città prova a riaccendere la luce nei suoi luoghi del sapere.
Un piano triennale, finanziato con risorse comunali, regionali e statali, punta a riaprire cinque strutture già nel 2025 e a completare la riqualificazione di tutta la rete entro il 2026.
È una promessa di rinascita, un segnale di fiducia, ma anche un banco di prova per capire se Napoli saprà davvero prendersi cura della sua memoria.
Perché mentre si parla di fondi e inaugurazioni, resta un interrogativo pesante: in che condizioni verranno ritrovati i libri chiusi da anni negli edifici abbandonati? La Biblioteca Benedetto Croce del Vomero è il simbolo più evidente di questa ferita.
Chiuso da oltre cinque anni, l’edificio ospita migliaia di volumi rimasti prigionieri nel silenzio e nell’umidità. Gli esperti temono che molti testi siano già danneggiati, alcuni irrimediabilmente perduti: muffa, infiltrazioni e incuria rischiano di aver trasformato intere sezioni in materiale da smaltire.
E se davvero si arrivasse al macero, sarebbe un segnale gravissimo: significherebbe cancellare un patrimonio unico, fatto di opere rare, donazioni, collezioni storiche difficili da recuperare.
La rinascita, allora, non può fermarsi ai cantieri. Prima di ogni intervento servirà un censimento urgente e capillare: bisogna sapere cosa esiste, dove, in che stato si trova e quali opere possono essere restaurate e quali forse sono ormai perdute.
Solo con una mappatura precisa sarà possibile decidere come e dove intervenire. Arredi nuovi e impianti moderni non serviranno a nulla se i libri non saranno recuperabili.
Occorrono fondi specifici per la conservazione: asciugatura, bonifica, restauro delle pagine e digitalizzazione dei testi più fragili. Senza questo passaggio, il rischio è che le nuove biblioteche riaprano con scaffali vuoti e una memoria amputata.
Il cronoprogramma parla chiaro: tutti gli interventi dovranno essere avviati e rendicontati entro la fine del 2025.
Una corsa contro il tempo che impone serietà e competenza, perché fondi non utilizzati o spesi male significherebbero la perdita definitiva delle risorse. Per questo serviranno tecnici, bibliotecari e professionisti veri, capaci di gestire i lavori con trasparenza e metodo, senza improvvisazioni né logiche di facciata.
E poi c’è il tema della manutenzione: non basta riaprire, bisogna mantenere. Le biblioteche devono tornare a essere spazi vivi, luoghi di comunità, con bilanci costanti, cataloghi aggiornati, attività culturali e un rapporto diretto con i cittadini. La cultura non può essere un evento, ma un impegno quotidiano. Napoli ha imboccato la strada giusta, ma la prova più difficile sarà salvare ciò che già esiste.
Se i libri della Benedetto Croce e delle altre biblioteche chiuse dovessero risultare distrutti, sarebbe una sconfitta per tutta la città. Non solo una perdita culturale, ma una ferita civile e un simbolo dell’incapacità di proteggere la propria storia; ecco perché questi fondi devono servire prima di tutto a salvare i libri, le storie, le voci del passato.
Solo allora, tra scaffali restaurati e pagine salvate dall’oblio, Napoli potrà dire davvero di aver investito nella cultura. Non con le parole, ma con i fatti.
















