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Dentro la mente del male: intervista all’autrice Valcavi del thriller: “Ora posso riposare”

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In una Parigi ambigua e affascinante, dove l’anima della città si mescola ai segreti più oscuri dell’animo umano, prende vita Ora posso riposare, il nuovo thriller psicologico firmato da Valeria Valcavi Ossoinack. Protagonista un uomo qualunque, Patrick Martin, che dietro una vita ordinaria nasconde un lato oscuro inquietante. Un serial killer insospettabile, che uccide senza lasciare traccia. E proprio questa ambiguità, tra normalità e follia, tra giustizia e vendetta, è al centro di una storia dove niente è come sembra. Abbiamo incontrato l’autrice per capire cosa si cela dietro la genesi di un personaggio così disturbante e perché, a volte, anche una persona perbene può oltrepassare il confine.

Patrick Martin è un uomo comune, quasi invisibile, eppure si rivela un serial killer spietato. Da dove nasce questo contrasto così forte? C’è un riferimento reale o letterario dietro la sua figura?

“Nessun riferimento a fatti o persone. È un romanzo di fantasia sulla natura umana. E sul confine tra bene e male, che non è un muro invalicabile, ma una linea invisibile (proprio come il protagonista) che le circostanze della vita possono farti oltrepassare. Nessuno nasce serial killer. Ma anche la persona più normale del mondo, un giorno potrebbe diventarlo. Magari è un caso su un milione, ma è il caso di Patrick Martin”.

Parigi è più di uno sfondo: sembra quasi un personaggio silenzioso del romanzo. Perché ha scelto proprio questa città per ambientare la storia?

“È il terzo romanzo che ambiento a Parigi, dopo “L’eredità Rocheteau” e “Nessuno si farà male”, i due thriller precedenti. Perché proprio Parigi? Perché è una città bellissima e misteriosa, dove ogni emozione è amplificata dalla sua atmosfera. Non è un mai semplice sfondo, ma diventa essa stessa protagonista”.

Uno degli elementi più disturbanti del thriller è che i delitti non sembrano delitti. Come ha costruito questi crimini “invisibili”? Si è ispirata a casi reali, studi psicologici o è frutto di una ricerca narrativa?

“C’è una precisa ragione perché Patrick Martin metta in scena i delitti facendo in modo che non sembrino tali. Una ragione che viene fuori nel corso del romanzo. A cosa mi sono ispirata? A tutto quello che ho visto e che ho letto sul genere. Costruirli in modo che nessuno possa sospettare niente, è la stata la parte più divertente”.

Il romanzo gioca costantemente sul confine tra normalità e follia. Cosa voleva raccontare del lato oscuro delle persone comuni?

“Tutti noi abbiamo un lato oscuro. Per fortuna, la maggior parte delle volte rimane nell’ombra tutta la vita, o si manifesta in modi non certo così estremi come in questo romanzo. Qualche volta, invece, può succedere. E allora, si parla di follia. La mente umana è il meccanismo più complicato dell’universo e si può guastare in qualsiasi momento”.

C’è un momento in cui il lettore può iniziare a intuire chi è davvero Patrick Martin, o ha preferito mantenere il mistero fino all’ultima pagina?

“Ho cercato di costruire un meccanismo che, fino alle ultime pagine, non sai dove ti porterà. Ci sono degli indizi, qua e là. Però, per coglierli, dovresti già sapere come va a finire. Sicuramente ci sarà qualcuno che riuscirà ad arrivare prima alla soluzione, ma spero non molti”.

Nel titolo, “Ora posso riposare”, c’è un’eco di sollievo ma anche qualcosa di tragico. Di chi è davvero quella voce? E che significato ha per lei quella frase?

“Nella sua domanda, c’è già la risposta. C’è tanto sollievo in quella frase. La voce è quella del protagonista. Quando finalmente porta a termine il suo compito tragico”.

Il romanzo tocca il tema della vendetta, ma lo fa in modo sottile. Quanto conta, per lei, la motivazione dietro l’atto criminale in una storia come questa?

“Patrick Martin è una persona che vive onestamente del suo lavoro e un padre amorevole. Non è un criminale. Lo diventa nel momento in cui si convince che non può farne a meno. La motivazione, in questo caso, è tutto”.

Sta già lavorando a un nuovo progetto narrativo? Tornerà su atmosfere simili, o questa è stata un’esplorazione unica nel thriller psicologico?

“Per ora mi prendo un periodo di riposo. Quest’ultimo romanzo è stato molto impegnativo. Posso solo dire che il thriller psicologico è sicuramente il genere che sento più mio”.

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