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Festa della musica, ma che fine ha fatto il festival della canzone napoletana?

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NAPOLI (Di Anna Calì) – Oggi l’Italia intera celebra la Festa della Musica. Nelle piazze, nei teatri, nei quartieri popolari e nei salotti borghesi, la musica si fa protagonista. Un rito laico, corale, diffuso, che riconosce nella musica una delle forme più alte di espressione culturale. Eppure, nel cuore di Napoli, la capitale mondiale della melodia, questo 21 giugno ha il sapore amaro di un’assenza. Quella del Festival della Canzone Napoletana, da anni sparito dai radar culturali, silenziato da un sistema che sembra aver dimenticato o forse rimosso, uno dei suoi patrimoni più autentici.

Nato nel 1952, il festival della canzone napoletana fu, per almeno due decenni, il palcoscenico d’oro della musica partenopea. Alla sua ribalta salirono artisti come Sergio Bruni, Roberto Murolo, Mario Merola, Aurelio Fierro, Nunzio Gallo, Maria Paris e una giovane Ornella Vanoni, allora interprete “in prestito” dalla scena milanese. Le melodie proposte in quel contesto, in lingua napoletana, raccontavano storie di amori tragici, ironie popolari, malinconie urbane, diventando colonna sonora di un intero paese.

Non era solo spettacolo, ma identità. Un modo per dire “Napoli” al mondo, senza bisogno di traduzioni. E per dire al mondo che Napoli non era solo folklore o marginalità, ma cultura viva, pulsante, stratificata.

Negli anni ‘80, complice l’esplosione della televisione commerciale e il mutamento dei gusti musicali, il Festival iniziò un lento declino. Alcune edizioni furono spostate da Napoli a Milano o a Roma, a dimostrazione di quanto già allora il legame territoriale fosse diventato fragile. Ci sono state altre edizioni che vanno dal 1981 sino al 2004; da allora in poi, il silenzio.

Da quel momento, non si è registrato alcun serio tentativo di rilancio. Nessuna progettualità a lungo termine, nessuna integrazione con la programmazione culturale cittadina. Solo sporadici eventi omaggio, piccoli festival paralleli o rievocazioni nostalgiche, senza vera forza politica o identitaria.

La città che ha dato i natali a “’O sole mio”, “Tammurriata nera”, “Malafemmena”, “Carmela” e “Napul’è”, oggi non ha un festival ufficiale che celebri la propria tradizione canora. È come se Vienna dimenticasse Mozart. Come se Buenos Aires rinunciasse al tango.

L’assenza del festival non è soltanto un vuoto musicale. È una cancellazione simbolica, che riguarda la memoria collettiva e l’immaginario culturale della città. La canzone napoletana, autentica forma di poesia cantata, è stata progressivamente relegata a cliché turistico, a jingle folklorico per crociere e ristoranti all’estero. Lontana dai palchi ufficiali, lontana dal cuore culturale della città.

E mentre altrove si celebra la musica come elemento fondante della comunità, basti pensare al Festival di Sanremo, Napoli sembra aver smarrito l’ambizione di raccontare se stessa attraverso la propria arte più potente.

La responsabilità di questa rimozione non è solo del mercato discografico o della modernità digitale. È, soprattutto, politica. In questi ultimi vent’anni, le amministrazioni comunali e regionali hanno promosso grandi eventi, rassegne internazionali, installazioni contemporanee, ma non hanno mai posto al centro della loro visione culturale il recupero e la valorizzazione strutturale della canzone napoletana d’autore.

Paradossalmente, si investe sul turismo esperienziale, sulla narrazione mitica di Napoli, sulle “emozioni forti” da vendere all’estero, ma si dimentica la sostanza: la voce della città. Si finanziano sculture giganti in Piazza Municipio, ma si lascia morire la tradizione musicale. La retorica dell’“identità napoletana” diventa merchandising, non progetto culturale.

Eppure, la canzone napoletana è più viva che mai. Giovani artisti come Liberato, La Maschera, Geolier o Enzo Dong, seppur con linguaggi nuovi, attingono a quel patrimonio, lo trasformano, lo reinventano. Ci sono fermenti che chiedono ascolto. Manca però un’architettura culturale capace di dare loro un contenitore, un palco, una visione.

Il Festival potrebbe o meglio dovrebbe essere proprio questo: un ponte tra passato e presente, tra tradizione e innovazione, tra patrimonio e futuro. Non una nostalgica cartolina d’epoca, ma un laboratorio vivo. Un osservatorio sulla città, sulle sue trasformazioni linguistiche e sonore. Una piattaforma culturale capace di dialogare con il mondo.

Nel giorno in cui l’Italia celebra la musica, Napoli dovrebbe interrogarsi. Non basta ospitare eventi estivi o incoraggiare jam session nelle piazze. Serve coraggio istituzionale. Serve riconoscere che una città senza la propria voce rischia di diventare muta anche nei suoi sogni.

Restituire al festival della canzone napoletana lo spazio che merita non è un’operazione romantica, ma un atto politico. È restituire a Napoli il suono del suo cuore. Perché la musica non è solo intrattenimento: è memoria, è identità, è dignità.

E oggi, più che mai, Napoli ha bisogno di cantarsi. Davvero.

Luigi De Magistris: “La canzone napoletana fa parte della storia più antica di Napoli, ma è anche una musica universale che supera ogni confine geografico ed è sempre arrivata ovunque. Ha reso Napoli conosciuta in tutto il mondo. Credo che il festival della canzone napoletana sia fondamentale nella nostra città e bisogna lavorare per consolidare per sempre le radici della canzone napoletana della nostra terra”.

Maurizio De Giovanni: “Non ho ricordi del festival di Napoli e non ho ricordi precisi. Credo che sia un’occasione fondamentale perché la musica napoletana in tutti i generi oggi sia all’avanguardia; passando per Enzo Avitabile, Gigi D’Alessio e il trap. Sostengo che Napoli avrebbe pieno diritto e convenienza a far resuscitare il festival di Napoli e, soprattutto potrà essere visto come una rinascita dell’arte e cultura napoletana che è già in atto. Io sarei molto favorevole”.

Joe Barbieri: “Sarei felicissimo di un ritorno del festival della canzone napoletana, per come lo conosciamo. Sarebbe grande orgoglio per la città, per i musicisti, gli autori e in una città come la nostra che ha dato al paese e al mondo intero una forma di canzone così straordinaria, paragonabile, per me, a quella brasiliana è inaccettabile che non esista una tutela o un marketing organizzato intorno alla canzone napoletana. Se vai a Lisbona o a Madrid trovi l’intera città che ruota intorno alla musica di quel paese, e noi dovremmo fare allo stesso modo: costruire e favorire un’industria intorno alla canzone napoletana, a partire proprio dal festival per esempio”.

Marco Gesualdi: “Del festival della canzone Napoletana, ho ricordi legati alla mia infanzia, a casa se ne parlava, e soprattutto si ascoltava la canzone “nobile” mapoletana.. Sergio Bruni, Mario Abbate e Mario Trevi; poi adolescente, ho scoperto Murolo con l’Antologia della canzone Napoletana, che spaziava dalle villanelle ad Armando Gill, e infine, appena maggiorenne ho avuto l’opportunità di suonare con Aurelio Fierro, e spesso, si parlava dei fasti di questo festival, insieme alla Piedigrotta. Credo che la canzone napoletana, figlia delle arie del melodramma sia il germe da cui è nata la Musica leggera Italiana: il bel canto, una lingua che è Musica, e orchestrazioni sapienti, hanno creato tutto ciò. Gente come E. A .Mario, Tagliaferri, Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, Salvatore Palomba solo per citarne alcuni, avevano a mio avviso spessore e sensibilità al di fuori del comune… Napoli meriterebbe un festival per la sua storia, e, ha un presente ricco di belle proposte, Gragnaniello, e Roberto Colella per esempio, ma anche tanti giovani….auguro a tutti noi, che possa rinascere!”

Monica Sarnelli: “Il 21 giugno ricorre – ormai da qualche anno – “La Festa della Musica”.

Sarebbe bello coincidesse con una giornata dedicata al “Festival della Musica e della Canzone Napoletana”.

Abbiamo qualcosa che tutto il mondo ci ammira (in qualche caso, addirittura, ci invidia) ma proprio “noi napoletani” non facciamo nulla per celebrarla in maniera adeguata.

Non sono una ragazzina (sono nata nel 1966), ma quando il “Festival di Napoli” era un evento di grande prestigio (1952 – 1971) non ero nata o ero troppo piccola per ricordare oggi… episodi, curiosità o aneddoti da poter raccontare.

Ma una cosa che mi riguarda posso dirla: il mio repertorio, quasi totalmente, attinge al grande patrimonio di brani in lingua napoletana (i “classici” ma anche quelli più contemporanei che io definisco “classici moderni”) ed una buona parte li ho scelti senza sapere che erano stati – nelle edizioni degli anni ‘50 e ‘60 – “lanciati” dal “Festival di Napoli”!…
Parliamo di “super hits” come: Guaglione, Malafemmena, Lazzarella, Indifferentemente, Cerasella…
Ma – mi domando – quale grande opportunità di diffusione e visibilità sarebbe un “Napoli Music Festival” – nel 2025, 2026, 2027… – per la nostra città, per i nostri autori e compositori, per i nostri interpreti…?

Cari amministratori, organizzatori, addetti ai lavori: “parliamone”!…”

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