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“La tua traccia, 10 passi per essere felici” il libro di Ilaria Marchioni tratto da una storia vera

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L’autrice Ilaria Marchioni ci presenta il suo ultimo lavoro editoriale “La tua traccia. 10 passi per essere felici”. Un libro tratto da una storia vera. Dieci passi da portare nel quotidiano, dieci nuovi pensieri per cambiare la percezione di tutto ciò che stiamo vivendo e per saper sperimentare la felicità nei piccoli istanti. La scrittrice, che si occupa di crescita personale e di sviluppo del potenziale umano, ci racconta la sua esperienza attraverso gli insegnamenti ricevuti dalla madre Agnese, maestra di gentilezza, dolcezza e ottimismo. Nel libro narra la sua trasformazione che è avvenuta nel momento in cui si è resa conto che alcuni comportamenti che adottava nella quotidianità non erano utili per vivere una vita felice e quindi, con coraggio e umiltà, li ha cambiati.

Incuriositi dalla lettura di questo libro, abbiamo deciso di farle qualche domanda in merito.

Dott.ssa Marchioni, 10 passi che sono stati fondamentali che l’hanno portata alla felicità. Ci può spiegare in che modo è riuscita a mettere in pratica questi passi e com’è cambiata la sua vita?

“Che domanda meravigliosa! (ride n.d.r). Una domanda del genere è importante perché così si capisce effettivamente se esiste un nesso tra il dire e il fare. Come ci sono riuscita? Ci sono riuscita quando ho iniziato a guardare le soluzioni piuttosto che i problemi, a guardare ciò che ho ancora piuttosto che ciò che non ho più. Ero abituata perché la mia mamma fin da bambina mi ha insegnato tutto ciò e da quando è andata via io ho iniziato a voler divulgare anche ad altre persone i suoi insegnamenti. Il titolo “La tua traccia” in realtà richiama la sua, che ho iniziato a seguire per capire effettivamente cosa avesse lasciato in me. Io mi occupo di crescita personale, di coaching e di realizzare la vita che si desidera davvero. Ho visto che i suoi insegnamenti in realtà erano già insiti nei miei, perché è quello che io insegno nei miei corsi. Ho imparato a metterli in pratica e a divulgarli il più possibile. Nella mia vita osservo principalmente le opportunità, ciò che funziona piuttosto che ciò che non funziona, ciò che ho ancora piuttosto a ciò che non ho più. Quando guido le persone ad andare in questa direzione, gli faccio capire che è giusto cambiare la prospettiva e il modo di leggere gli eventi.”

Com’è stato trascrivere su carta questo cambiamento?

“È stato trasformazionale anche per me stessa, è stato fortissimo vedere scritto nero su bianco tutto ciò che sono riuscita a realizzare e a cambiare. Il libro non parla della vita di mia madre bensì serve a divulgare i suoi insegnamenti, che sono universali. Per questo motivo ho deciso di prendere 10 aneddoti, i più leggeri e i più spiritosi e li ho uniti con quello che insegno. Ho creato così un viaggio e ho cercato di riportare in contatto tutte quelle persone che nella loro vita hanno perso qualcuno d’importante. Un amico, una nonna, un fratello, qualcuno che comunque ha lasciato una traccia fondamentale.”

Tutto nasce grazie agli insegnamenti della madre Agnese, può spiegarci il tipo di rapporto che aveva con sua madre?

“Molto volentieri. Il nostro era un rapporto molto gioioso, facevamo molte cose assieme, anche se ognuna aveva la sua vita ben definita. Mia madre per me è sempre stato un punto di riferimento, visto che ho perso mio padre quand’ero molto piccola. Ho due sorelle e un fratello, ma lei è l’unica figura genitoriale che avevo. Si è sempre rimboccata le maniche, mi ha mostrato come raggiungere gli obiettivi grazie alla sua determinazione e mi ha sempre sostenuto nel voler ottenere le cose che volevo, nonostante le prove difficili della vita. Ho imparato così, ad affrontare le prove ma con uno spirito diverso: “Ok, so come trovare la soluzione”. Un rapporto molto stimolante, anche perché condividevamo un sacco di passioni, anche ludiche come per esempio camminare all’aria aperta. Noi viviamo in montagna e ogni volta era l’occasione giusta per andare alla ricerca di frutti di bosco, di funghi o fare un pic-nic. Un rapporto basato sulla libertà e sul reciproco sostegno. Non ha mai cercato di cambiarmi. Le sarò per sempre grata”.

Molte persone, soprattutto i giovani, tendono a sottovalutare il rapporto con la propria madre. Credendo, in maniera errata, che la mamma resterà lì per sempre. Cosa sente di dire a tutte queste persone?

“Non solo i giovani di adesso, ma un po’ tutti i giovani. In gioventù infatti abbiamo la percezione che il tempo a nostra disposizione sia infinito, ma pian piano il tempo passa e ci rendiamo conto che tutto finisce. Alla fine non fai altro che realizzare che il tempo è la variabile più preziosa che abbiamo e prima ce ne accorgiamo meglio è. Ti sono grata per questa domanda, così posso collegarmi al mio precedente lavoro editoriale: “Il prezzo del tempo”, un libro che focalizza la sua attenzione su come valorizzare il tempo che abbiamo e su come smettere di sprecarlo. Il tempo inizia a scarseggiare non soltanto a causa dell’età, ma anche per altri motivi (come incidenti o malattie) e solo quando non ne abbiamo più ci rendiamo di quanto tempo abbiamo sprecato. Ai giovani mi piacerebbe dire di non sprecarlo, che purtroppo il tempo non è infinito, e di ascoltare le persone che ci sono passate prima di voi. La mamma, qualsiasi sia la relazione che si ha, anche nel caso fosse burrascosa, è sempre la mamma. Noi stiamo dentro al suo grembo per nove mesi e per i primi mesi dopo la nostra nascita pensiamo addirittura di essere lei, perché non esiste ancora un “io” separato. Il rapporto con la mamma è fondamentale e se dovesse essere conflittuale, bisogna lavorarci sopra, sciogliere la dinamica e recuperare. Non c’è nessun’altra persona più importante della mamma, nemmeno i figli. Anche perché quando eravamo infanti eravamo totalmente dipendenti da chi si prendeva cura di noi, che tipicamente era la mamma. C’è un rapporto fortissimo, certo anche col papà, ma noi siamo stati tantissimo dentro la pancia della nostra mamma e abbiamo avuto per 9 mesi il servizio all-inclusive: pranzo, cena, caldo, dormire”.

Cosa significa oggigiorno essere felici e perché molte volte sembra che la felicità sia irraggiungibile?

“Significa essere allineati con chi siamo veramente. Non sono le cose che ci fanno felici, non è uno smarthpone nuovo, un lavoro o un amore. La felicità è uno stato mentale che si attiva quando sentiamo di essere in linea con chi sappiamo di essere. Per me questa è la felicità. Orientarsi a essere chi siamo veramente. La felicità è uno stato dell’essere che riguarda l’anima, anche se spesso la confondiamo con la sfera dell’avere. Passiamo la vita intera a rincorrere cose che ci illudono di farci felici. Dobbiamo essere grati per ciò che siamo e per la meraviglia che abbiamo intorno, soprattutto se viviamo in Italia, siamo nati nella parte giusta”.

Felicità e serenità, due belle parole che il più delle volte vengono confuse. Chi è felice pensa di essere sereno o viceversa. Può spiegarci la differenza tra le due?

“Essere sereni è assenza di preoccupazione, non essere preoccupati per niente o nulla mi sposta. La felicità invece è qualcosa in più, non è solo assenza di preoccupazioni, è un moto attivo, un guizzo, una scintilla negli occhi. È un sentirsi appagati, è un senso di soddisfazione, un senso di significato che diamo alla nostra vita, alla traccia che stiamo, appunto, lasciando anche noi”.

Prima di stare bene con gli altri, bisogna stare bene con se stessi. Cosa ne pensa al tal proposito?

“È fondamentale. È l’unica strada e non ci sono altre alternative. Se non sto bene con me stesso come posso pretendere che un’altra persona stia bene con me? Purtroppo spesso le relazioni sono basate sul baratto: io non sto bene con me, quindi voglio stare in tua compagnia, e probabilmente anche tu non stai bene con te e vuoi stare in mia compagnia. Non sarebbe più semplice se innanzitutto ogni persona cercasse di stare bene con sé stessa? Dobbiamo occuparci di noi stessi e poi ambire a stare bene con gli altri, se no non sta in piedi. Siamo 24h con noi stessi e non si capisce il perché non stiamo bene con noi stessi”

Sono tante le persone che non superano la perdita della cara mamma. Ma effettivamente, come si supera?

“Il dolore è fortissimo. La mamma è la persona che più è dentro alle nostre cellule. Il processo di lutto è un percorso, non possiamo reprimerlo, c’è bisogno di viverlo e affrontarlo, senza però rimanerne schiavi. Ci vuole tempo, il percorso di lutto è personale. Un anno, 6 mesi, dipende. Nessuno lo può dire. Va affrontato ma a un certo punto la chiave per me è stato pensare: “Cosa avrebbe voluto la mia mamma per me?”. E la risposta è stata “che tu sia felice”. Bisogna esaudire il loro desiderio e rispettarlo come ultima volontà.

Un augurio o un messaggio per tutte le persone che hanno bisogno di ritrovare la felicità.

“Di fermarsi un attimo e respirare. E poi osservare quello che hanno intorno e prendere in considerazione tutte le sfere della vita. E poi mettersi a contare, in ogni sfera, quante sono le cose che vanno e quante sono quelle che non vanno, comprendendo anche le cose che diamo per scontato e che scontate non sono: cuore che batte, sangue che circola, tetto sulla testa, cibo nel piatto. Non bisogna guardare le cose eclatanti. Bisogna fare un bilancio, così da ricollegarsi con la gratitudine, che è un aspetto essenziale per vivere una vita felice.

 

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