NAPOLI – Marianna Scagliola, scrittrice napoletana già nota per il successo del suo primo romanzo “Una famiglia allargata, cane compreso”, torna in libreria con un’opera sorprendente: “Il Francese, Biancaneve e il Settebello”, un’avvincente black comedy che affronta con sensibilità e di tanto in tanto un pizzico di ironia un tema delicato e attuale come quello degli abusi sui minori.
Uscita ieri, 25 novembre 2024, il romanzo racconta le vicende dei gemelli Vincenzo e Gaetano Gallo, nati e cresciuti nel quartiere di Scampia, che si ritrovano a vivere come “abusivi” in una scuola privata del Vomero. Qui, dietro la rassicurante apparenza di un asilo, i protagonisti scopriranno un inquietante mondo di segreti, dando vita a una storia intensa e appassionante.
Tra irresistibili momenti di comicità e profonde riflessioni, Marianna Scagliola dipinge un ritratto unico di Napoli, con tutte le sue contraddizioni senza mai dimenticare la sua straordinaria vitalità. Il romanzo non si limita a raccontare una storia, ma invita il lettore a riflettere su temi fondamentali come la lotta contro l’indifferenza, l’importanza della giustizia e il potere trasformativo della letteratura.
Con questo secondo romanzo, l’autrice conferma il suo talento nel mescolare generi senza mai rinunciare alla sua cifra stilistica: l’uso sapiente dell’ironia come strumento di denuncia e racconto.
L’opera sarà presentata ufficialmente dall’associazione Ipazia a Visciano, in un evento dedicato che promette di emozionare e coinvolgere i lettori.
Marianna Scagliola ha già ottenuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro, tra cui il prestigioso premio internazionale Comunicare l’Europa 2023 nella prestigiosa sede del parlamento Europeo e il premio nazionale Per Sempre Scugnizzo. Fondatrice dell’associazione “Napoletanamente” e conduttrice della rubrica settimanale “Libridine” in onda su PSNTV.IT, si conferma una figura di riferimento per la promozione della lettura e della cultura italiana.
Dott. ssa Scagliola, come nasce: “Il Francese, Biancaneve e i Settebello”?
“Il libro nasce dal desiderio di occuparmi di tematiche sociali “scomode”, con l’obiettivo di portarle all’attenzione del pubblico e sensibilizzarlo. Chi scrive, a mio avviso, riveste un ruolo sociale e ha la responsabilità di farsene carico”.
Quanto tempo ha impiegato nella stesura del romanzo e da dov’è partita l’esigenza di dedicarsi a una commedia nera?
“Circa un anno e mezzo. L’esigenza era quella di “scuotere le coscienze” rispetto ad una problematica ancora troppo sconosciuta e sottaciuta. Ho scelto di utilizzare lo stile della commedia nera per renderla accessibile a tutti; solo così, infatti, ho potuto edulcorare la narrazione alternando pagine emotivamente impegnative a pagine particolarmente divertenti”.
Il romanzo è uscito il 25 novembre, data in cui ricorre la giornata mondiale contro la violenza di genere. È ancora poco quello che si sta facendo e sono ancora tante le donne vittime di tale ferocia. Lei cosa pensa si possa fare per arginare del tutto il problema e, come spiega alle sue figlie tutto ciò che accade nei confronti delle donne? E soprattutto, da mamma qual è la paura più grande che prova nei confronti delle sue figlie, vista la società attuale?
“La data di pubblicazione del romanzo non è casuale, ma è stata scelta per lanciare il messaggio che tutte le violenze vanno combattute e vanno combattute allo stesso modo, a prescindere dal soggetto vittima.
Io credo che ci sia ancora tanto da fare dal punto di vista culturale ed educativo, e questo richiede una forte sinergia tra le istituzioni e le famiglie. Ma lo Stato deve intervenire anche con delle misure di controllo più adeguate e con un inasprimento delle pene.
Ai miei figli, due bambine e un bambino, cerco di dare innanzitutto la stessa educazione, insegnando in particolare al maschietto che anche lui è chiamato a collaborare in tutte quelle attività che un tempo, e a volte anche oggi, erano demandate esclusivamente alle donne.
È difficile, però, spiegare cosa sta accadendo perché è incomprensibile anche per me. Piuttosto provo a raccontare cosa accade sottolineando la gravità dei fatti e cercando di metterli in guardia rispetto al fatto che una persona violenta va subito allontanata. La mia paura più grande è che loro possano confondere l’amore con la possessività e, come spesso accade, sottovalutare la pericolosità di un rapporto tossico”.
Il romanzo ambientato a Napoli, precisamente a Scampia e, poi al Vomero. Come mai la scelta di raccontare questi due luoghi? Com’è stato raccontare dei disagi e delle difficoltà presenti in quel posto e, secondo lei perché si tende sempre a mettere in disparte determinate zone della città partenopea?
“Ho scelto due luoghi di Napoli diametralmente opposti; uno povero e degradato mentre l’altro “borghese” ed elitario, mettendo in risalto che le ricchezze e le miserie dell’essere umano non dipendono necessariamente dall’ambiente in cui si vive. In ogni contesto c’è qualcosa di buono e di cattivo; la differenza sta nelle proporzioni e nelle scelte individuali. Ognuno deve imparare a distinguere il bene dal male e decidere da che parte stare.
Ho scelto di raccontare Scampia più che come un punto geografico, come una comunità di persone e parlare soprattutto dell’aspetto umano. A mio avviso bisogna sempre andare al di là delle apparenze e dei luoghi comuni.
Se alcune zone continuano ad essere discriminate è proprio perché si tralascia l’aspetto umano e gli abitanti vengono abbandonati a loro stessi”.
Attraverso i suoi romanzi umoristici pone sempre il lettore dinanzi a delle riflessioni; l’ha fatto con: “Una famiglia allargata cane compreso” e, sarà sicuramente lo stesso anche con quest’ultimo libro. Quale messaggio vuole lasciare ai suoi lettori e soprattutto che differenze ha avuto tra il primo e il secondo romanzo? Ci può anche parlare degli altri suoi lavori editoriali?
“Il messaggio che vorrei lasciare ai lettori lo prendo in prestito da un dialogo dei due protagonisti quando affermano che non bisogna mai voltarsi dall’ altra parte perché un crimine è affar di tutti, come lo è un criminale a piede libero.
Entrambi i romanzi invitano il lettore a delle riflessioni, ma mentre il primo è un testo prettamente umoristico e quindi si ride dalla prima all’ultima pagina, nel secondo romanzo l’umorismo è strumentale a bilanciare le forti emozioni generate dalla crudeltà del tema trattato.
Per quanto riguarda gli altri lavori editoriali, al momento sto lavorando alla stesura del terzo romanzo che è il prosieguo della famiglia Schiattarella”.
I protagonisti principali sono due fratelli gemelli eterozigoti: Vincenzo e Gaetano. A quale tiene di più e qual è che invece le ha dato più difficoltà nella stesura?
“Sicuramente la personalità di Vincenzo è più complessa, perché alterna a dei momenti di grande lucidità un atteggiamento ingenuo e infantile.
Ma sono più legata a Gaetano, perché predilige il bene della collettività a discapito del proprio e lo fa in piena consapevolezza”.
Quant’è importante per lei la scrittura? E quanto tempo le dedica?
“La scrittura per me è una esigenza vitale. È il mio modo di reinterpretare la realtà e comprenderla meglio. Attraverso di essa è come se vivessi una seconda vita in cui entro in empatia con i personaggi e grazie a loro vivo storie ed emozioni sempre nuove.
Purtroppo non sono riesco a dedicarmi quanto vorrei per questioni di tempo. In genere scrivo poche ore nel fine settimana, ma quando ne ho la necessità, anche un paio di giorni durante la settimana nelle ore serali”.
Il “Settebello” citato nel titolo ci porta subito alla mente le carte napoletane. C’è assonanza tra queste due cose e soprattutto come nasce l’idea di inserirlo all’interno del romanzo?
“All’interno del libro c’è una battuta che richiama le carte napoletane, ma in realtà “I settebello” si riferisce ad una scatola di profilattici attorno alla quale si creano una serie di scene divertenti che scoprirete solo leggendo il libro”.
Ha in mente altri progetti futuri? Se sì, quali?
“Tanti. Vorrei continuare ad occuparmi di tematiche sociali, in particolare quelle tabù ma anche dare un seguito alla mia “famiglia allargata, cane compreso”, visto il successo e le richieste dei lettori.
Ho da poco fondato la mia associazione “napoletanamente “con la quale ho intenzione di promuovere la lettura come forma di divertimento e benessere della persona attraverso degli incontri tematici”.
La lettura si va a snodare anche attraverso delle tematiche importanti pensa che i giovani possano cogliere l’invito alla lettura del suo libro e farne tesoro?
“Io credo molto nei giovani e nelle loro capacità. Il mio primo romanzo è stato accolto molto bene proprio da loro che ne hanno apprezzato il significato e lo stile di scrittura scorrevole e divertente.
Mentre scrivevo questo romanzo pensavo a loro come ai miei principali lettori perché saranno i genitori del domani, anche se a mio avviso è necessario avere consapevolezza rispetto a questa tematica, non solo in qualità di genitori, ma anche di cittadini. Solo attraverso l’informazione possiamo tutelare i bambini. Trovo assurdo, infatti, che la maggior parte delle persone sa come proteggerli da un banale raffreddore e non come strapparli dalle grinfie di un pedofilo. Un genitore è chiamato ad individuare i potenziali pericoli per i propri figli ed a metterli in guardia; i bambini, dal canto loro, grazie alle premure dei genitori ed alle informazioni ricevute, dovranno essere in grado di riconoscere le insidie”.
Come mai la scelta di inserire le poesie di Ferdinando Russo?
“Amo tutto quello che riguarda la napoletanità, a partire dalla lingua, e mi piace molto leggere le poesie in vernacolo.
Ferdinando Russo è stato un esponente molto rappresentativo e originale della cultura partenopea e ha avuto il coraggio di scrivere delle poesie licenziose dando voce con questi suoi versi all’anima popolare di Napoli.
Anche se per me l’eleganza è una delle qualità che apprezzo di più nelle persone, e quindi negli scrittori, ammiro anche il Ferdinando Russo che con i suoi componimenti è riuscito a calarsi nelle strade di Napoli e arrivare tra gli strati più bassi della popolazione. A volte, però, questo può rappresentare un pericolo per uno scrittore e sfociare nella volgarità, in particolare quando si fa umorismo. È troppo facile far ridere ricorrendo a battute spinte e sconce. La difficoltà sta proprio nel cercare di non cadere in tentazione”.
Se dovesse convincere i lettori a leggere il suo ultimo lavoro editoriale, con quale estratto lo farebbe?
“È latte!”, la rassicurò Valeria. “Stai tranquilla che ora ti pulisco io”, aggiunse strofinando con un fazzoletto bagnato, prima il grembiulino a quadretti bianco e rosa e poi il viso.
In quel momento bussarono alla porta: era la maestra Manuela che tutta agitata urlava: “Muovetevi! È arrivata la mamma!”.
“Veramente? È già arrivata la mamma?”, si meravigliò Gino.
“Sì, è venuta a prenderla prima. Non l’ho ancora aperta, ma l’ho vista dalla telecamera”.
“Abbiamo finito”, disse Gino spingendo con violenza verso di lei la piccola Elena Sofia che cadde a terra. “Te la puoi pure prendere a questa stronza!”.
“Smettila Gino! Non dire parolacce!”, lo riprese Valeria. “I bambini ripetono tutto”.
Manuela afferrò per un braccio la bimba e la trascinò di corsa per le scale. Poi, la fece sedere al suo banchetto, le diede un biscottino e, come se non fosse accaduto nulla, le ordinò: “Mi raccomando: ora che arriva la tua mamma, devi sorridere. Hai capito?”.
Si concluse così la tortura e l’infanzia di una bambina di quasi tre anni che aveva avuto la cattiva sorte di capitare nelle mani di due spietati criminali; peggio di due crudeli assassini.
Perché abusare sessualmente di un minore è cosa ben peggiore che commettere un omicidio.
L’omicidio è la morte in un’unica somministrazione, mentre l’abuso sessuale è un’infinità di omicidi a piccole dosi. È una pluralità di delitti; un crimine contro l’umanità. Chi abusa sessualmente di un bambino è un feroce assassino, un lucido cecchino. È un killer.
Un serial killer
















