NAPOLI (Di Anna Calì) – Nino Sarratore, personaggio di L’amica geniale, è più di un semplice uomo: è un archetipo. Affascinante, colto, apparentemente sensibile, rappresenta quella figura che molte donne incontrano almeno una volta nella vita. È l’uomo che sa come ammaliare, che fa sentire speciale chi lo circonda, ma che allo stesso tempo alimenta legami instabili e dipendenze emotive profonde.
È colui che promette mondi, ma lascia crepe. Non è un seduttore tradizionale: il suo potere sta nella sua apparente vulnerabilità, nella capacità di mostrarsi diverso dagli altri uomini, migliore, più profondo.
Questa maschera lo rende irresistibile, soprattutto per le donne come Lenù, che vedono in lui una via di fuga o un’idea di amore che sembra irraggiungibile. Ma dietro quel fascino si cela un’insicurezza devastante, una necessità di essere ammirato che lo spinge a ferire chiunque si avvicini troppo.
Ma lui non è solo un uomo, ma un simbolo di quelle relazioni tossiche che molte donne vivono. Entra nella vita con una forza dirompente, che fa sentire amate come mai prima, per poi lasciare il vuoto. Relazioni come quelle che instaura il protagonista non si basano su un amore sano, ma su dinamiche di potere e per una donna, spezzare questo legame è una sfida immensa.
Nino Sarratore non è un personaggio isolato: è lo specchio di molti uomini nella società contemporanea. Uomini che usano il proprio carisma per conquistare, ma che non hanno la maturità emotiva per costruire legami sani, che lasciano una scia di cuori infranti, che alimentano amori malati e che, spesso inconsapevolmente, creano dipendenze emotive difficili da spezzare.
Ma c’è un altro aspetto importante da considerare: il potere che diamo loro. Uomini come Nino hanno forza solo finché le donne la concedono loro. È nel riconoscere queste dinamiche, nel capire il proprio valore, che si trova la vera libertà.
Spezzare il legame con un “Nino” è difficile, ma non impossibile. Significa imparare a riconoscere i segnali, a capire che l’amore non dovrebbe mai farci sentire meno di ciò che siamo. È un percorso di consapevolezza, in cui la donna smette di cercare conferme negli altri e trova la forza dentro di sé.
Sarratore, con tutto il suo fascino distruttivo, ci ricorda quanto sia importante scegliere relazioni che ci costruiscano, non che ci distruggano. Perché alla fine, il vero amore non è quello che ci tiene sospesi, ma quello che ci fa volare.
Nino è un personaggio che ti entra nella pelle, nell’anima, nella mente e nel cuore. Ti sconvolge i pensieri e ti pone dinanzi a delle riflessioni profonde ed è proprio grazie a questo personaggio che la scrittrice Raffaella Ferré ha pubblicato il 20 novembre il suo lavoro editoriale “Lo stronzo geniale” edito da Colonnese editore.
Raffaella Ferré, come nasce l’idea di dedicare un libro proprio a Nino Sarratore? In cosa consiste e quanto tempo ha dedicato alla stesura del lavoro editoriale?
“Da appassionata lettrice di Elena Ferrante, la sua intera opera e in particolare modo la tetralogia de L’Amica Geniale, a muovere il mio intento di scrittura è stata la voglia e la speranza di contribuire al discorso immenso che questa Autrice ha aperto e sviluppato per tutti noi, e a cui spero sempre più persone possano approcciare.
Nel caso di Nino Sarratore, uno dei personaggi magistralmente creati da Ferrante, il tentativo è andare ad analizzare il fenomeno sociale che lo accompagna, per un’indagine sui nostri sentimenti e le nostre relazioni. Sono quindi partita dall’odio che il personaggio catalizza in lettrici, lettori e telespettatori a livello internazionale, passando dai romanzi alla serie tv, e questo anche quando ci sono personaggi ben più spudoratamente “cattivi”.
Da lì in poi, mi sono domandata perché molti pensano di aver incrociato delle manifestazioni “sarratoriane” nella vita quotidiana e da dove nasce la battuta ricorrente: “Un Nino Sarratore, nella vita, capita a tutte” e “Un Nino Sarratore lo conosciamo tutti”. Il lavoro è cominciato nei miei pensieri, nei miei studi e nella mia lettura diversi anni fa, ma finora era rimasto confinato in discussioni e testi ben più brevi: dargli forma è stato, dunque, un processo più rapido, ma che parte da molto lontano”.
Un personaggio tanto odiato ma a tratti anche amato. È una persona che il più delle volte non riusciamo a mandare via dalle nostre vite e facciamo fatica a ripartire daccapo. In questa società siamo circondati da “Nino Sarratore”, non soltanto nella sfera affettiva, ma a volte anche al lavoro. Secondo lei perché capita ciò? Cosa stiamo sbagliando e potremmo mai invertire la rotta?
“Provare a raccontare e analizzare, in modo critico ma ironico, i modi in cui il “Nino Sarratore” si manifesta nella realtà ha significato confrontarmi con le mie e le altrui esperienze, e vi ho trovato temi e caratteristiche ricorrenti e pervasive, ma che risultano chiare solo a posteriori.
Chi ha letto Elena Ferrante parte avvantaggiato nel riconoscerle, chi non lo ha fatto ancora può recuperare. Perché davanti a quelle che chiamo manifestazioni “sarratoriane” ci troviamo tutte e tutti – anche chi alcuni tratti li ha – sorpresi come da un dolore crudo e improvviso: è la delusione di premesse e promesse bellissime, il sollevamento di un velo e la caduta di una maschera.
I “Nino” si rivelano. E se a chi li vede rivelarsi restano molte domande e molti spazi vuoti (è l’attesa e la speranza che vengano colmati a rendere difficoltoso l’emanciparsi da loro), chi invece li ritrova in sé potrebbe non essere pronto o non essere in grado di accettarlo e tentare di porre rimedio, sia per l’altro che per la propria persona.
Questo processo culmina in una sorta di bias culturale che pone la donna o in generale chi subisce la fascinazione di un “Nino” in condizione di svantaggio: ci si sente stupidi, ci viene detto che siamo state stupide, ed è difficile avere la forza di capire se ciò è vero, quanto e in che parte abbiamo potuto contribuire al “raggiro emotivo”. Dall’altra parte, però, ci sono quelle sfumature della cosiddetta mascolinità tossica che pongono l’uomo, il “Nino”, in un contesto in cui è meno esposto a dubbi su sé stesso e sulle proprie azioni. Provare a ridere o sorridere, per un momento solo, di tutto questo per poi affrontarlo e risolverlo laddove possibile, credo sia un passo e un tentativo alla portata di tutte e tutti”.
Tanti “Nino Sarratore” sanno ben mascherare il loro essere. Quali sono i segnali per riconoscerli?
“Nel mio testo ho provato a individuare alcuni passaggi e dinamiche. La prima è sempre una condizione di sospensione che può essere accompagnata da sentimenti, emozioni e contesti positivi oppure negativi, spesso da una mistura di entrambi. Se il “Nino”, come detto, si rivela, allora il processo è in divenire: vede lentezze, accelerazioni, fermi, e da capo. Trovarsi a vivere – e in parte subire, in parte contribuire – questa attesa di ciò che potrebbe essere o succedere, è la prima red flag da tenere d’occhio, sia per analizzare la fattibilità concreta delle nostre fantasie e aspirazioni, sia per capire quanto il presunto “Nino” sia consapevole di alimentarle con il suo fare e non fare, dire e non dire. Perché raccontarci e farci raccontare una bella storia sempre sul punto del colpo di scena è piacevole, ma la quotidianità vuole e necessita anche di stabilità e affidabilità”.
Le andrebbe di lasciarci un commento sulla serie “L’Amica Geniale” e soprattutto, lei pensa che entrambe siano geniali o una soltanto nello specifico?
“La mia opinione è quella di una fan, una grande appassionata de L’Amica Geniale ed estimatrice della potenza narrativa di Ferrante. Avrò letto la tetralogia una dozzina di volte, sono poi passata agli audiolibri con la voce di Anna Bonaiuto e infine approdata alla serie tv, che trovo una delle trasposizioni e dei prodotti audiovisivi meglio realizzati degli ultimi decenni.
Ciò che, per ragioni di tempi e coerenza filmica, è rimasto fuori dallo schermo del telespettatore, rappresenta per me un silenzioso patto con il lettore, il solo che può dire davvero di “sapere”.
Personalmente so già che, all’ultima puntata, ricomincerò da capo la lettura, sperando che chi ha visto solo la serie faccia altrettanto acquistando e leggendo i romanzi di Ferrante. Infine, credo che Lila e Lenù siano entrambe geniali l’una per l’altra; certo, sappiamo chi lo dice a chi, ma il sentimento di stima, ammirazione e folgorazione per le capacità dell’altra è condiviso. È c’è poi l’applicazione del termine “genio” nel napoletano, dove significa anche avere la voglia e avere l’atteggiamento volto al fare: in questo, sia Lila che Lenù brillano, ognuna nel proprio campo e a proprio modo”.
Perché i lettori dovrebbero leggere il suo libro e, se dovesse convincerli scegliendo una frase del suo “Str*nzo geniale” quale sceglierebbe?
“Direi semplicemente che un “Nino Sarratore” nella vita può capitare a tutte e tutti. Se qualcuno dovesse pensare lo stesso, allora il mio libro, ma soprattutto i libri di Elena Ferrante, fanno per lei, per lui”.