NAPOLI (di Anna Calì) – Che fine ha fatto il Made in Italy e di questo passo che fine farà? Sia a livello nazionale che mondiale è un importante brand che ha delle caratteristiche ben precise, come: la creatività, la qualità, l’eleganza, la bellezza, l’unicità, lo stile e, il settore dell’agroalimentare. Ma, effettivamente oggi, quanto made in Italy troviamo? In molte aziende l’impronta dell’italianità è ancora presente, mentre, in altre è rimasto solamente il marchio. Tutto questo è dovuto all’estrapolazione e alla lavorazione della materia prima. Il primo settore che ha subìto la crisi del marchio Italy è stato quello tessile, ma, non è l’unico. Da un lato è positivo se i grandi gruppi multinazionali decidono di investire in Italia, poiché è meglio se un’azienda passa a mani estere anziché farla fallire. Ma, come tutte le cose però, c’è anche il lato negativo, infatti, si è iniziato con l’importazione delle materie prime, poi, si è passati ad acquisire direttamente i marchi storici, come per esempio: l’olio Bertolli, Orzo bimbo, Parmalat, Fiorucci salumi. Infine, come ultimo passo è rimasto quello di: chiudere totalmente tutti gli stabilimenti presenti in Italia per trasferirli all’Estero. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, il problema del “made in Italy” si è accentuato ancor di più a causa dell’importazione del grano. La Divella stessa ha dichiarato che: “ci sarebbero stati problemi di approvvigionamento di grano”, ma, com’è possibile avere un problema simile, se sulle loro confezioni è presente il bollino “grano Italiano”? La risposta potrebbe essere perché: il grano estero viene prima mischiato col grano duro di provenienza nazionale, per poi farlo trasformare in semola che diventerà pasta. Quindi, non è sbagliato se i marchi espongono la dicitura: made in Italy, poiché, è proprio questa lavorazione che permette ciò. Non solo la Divella ha dichiarato che il grano proviene dall’Estero, ma, anche: la Barilla, la De Cecco e Granoro, quest’ultima, infatti, dichiara che: utilizza un grano mischiato con quello Americano, Australiano ed Europeo. Tutto questo è dovuto al fatto che la produzione nazionale di grano duro di alta qualità che abbiamo in Italia, non è assolutamente in grado di coprire il fabbisogno interno ed è per questo motivo che le grandi aziende si trovano costrette a importarlo. Il Presidente di Federalimentare, Ivano Vacondio durante la presentazione della 21ma edizione di Cibus ha dichiarato che: “C’è un forte cortocircuito che riguarda i cereali, innanzitutto va chiarito un punto: dire cereali non vuol dire solo pasta, pane e prodotti da forno. Sono cereali i principali alimenti per la zootecnia e, quindi sono coinvolte anche le carni, i salumi, il latte e il formaggio. I cereali riguardano il 70% del made in Italy ed è per questo che la situazione è molto preoccupante”. Stiamo vivendo un momento di forte preoccupazione, anche perché il Presidente Ungherese Orban ha sancito il divieto di esportazione per i propri cereali, una misura che è stata subito denunciata alla Commissione UE poiché non rispetta i trattati europei che prevedono la libera circolazione delle merci. E, infatti, il Presidente Ungherese sembra aver fatto un passo indietro, specificando che: dal suo provvedimento di blocco dovrebbero essere esclusi i contratti già in essere. Ciò vuol dire che, maggior parte delle forniture da parte dell’Ungheria dovrebbero essere salve, visto che, i contratti si fanno da un anno all’altro. Inoltre, il Presidente di Federalimentare parla anche delle voci che circolano sulla sovranità alimentare e, dichiara che: “Capisco che lo facciano i politici che vivono di consenso e questo della sovranità alimentare è uno slogan che sembra riscuotere interesse nell’opinione pubblica. L’Italia non è un paese che può realizzare una sovranità alimentare, visto i terreni arabili che non ha. Sento parlare di promuovere le coltivazioni di grano al sud e, di riutilizzare i terreni abbandonati. Faccio presente che in Sicilia si producono 15 quintali di grano con metodo biologico contro i 90 che si producono in Francia. Abbiamo bisogno di milioni di ettari e non di piccoli apprezzamenti. Per questo dico abbandoniamo gi slogan e preoccupiamoci di costruire accordi con i fornitori che ci consentano di risolvere il deficit di materie prime”. Alla luce di tutto ciò, è evidente che la situazione è preoccupante. Il Governo deve pensare a trovare delle serie soluzioni, altrimenti il made in Italy abbandonerà definitivamente il nostro Paese e, le conseguenze saranno peggiori. Non avremmo più un marchio che possa indentificarci e, la disoccupazione salirà notevolmente.

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