NAPOLI (Di Stefano Esposito) – Il 9 ottobre si celebra la Giornata mondiale della pasta, e per Napoli non è solo una ricorrenza: è quasi una festa di famiglia. In questa città, la pasta non è un semplice alimento ma un rito quotidiano. È l’odore che sale dalle finestre a mezzogiorno, il suono del mestolo che gira nel sugo, il segnale che la vita continua, qualunque cosa accada.
La storia della pasta e quella di Napoli si intrecciano da secoli. Fu proprio qui, tra i vicoli e i mulini borbonici, che la pasta secca trovò la sua patria. I “mangiamaccheroni” divennero simbolo di un popolo fiero e creativo, capace di fare poesia con un piatto povero.
Il cinema e il teatro hanno reso immortale questo legame. Totò, con la sua fame ironica e i gesti affamati, trasformò un piatto di spaghetti in una gag universale. Eduardo De Filippo la portò in scena come metafora della sopravvivenza, tra dignità e fame. Sofia Loren, con un piatto di pasta tra le mani, rese sensuale e popolare un gesto semplice: “Tutto quello che vedete lo devo agli spaghetti”, diceva sorridendo.
E poi Massimo Troisi, che della pasta fece un linguaggio discreto ma costante. In Ricomincio da tre e Scusate il ritardo, la tavola e la cucina diventano luoghi di verità, dove la pasta è sempre presente: nei dialoghi familiari, nelle cene tra amici, nei silenzi carichi di umanità. Anche in Il postino, pur senza scene esplicite, il cibo accompagna la tenerezza dei gesti, il ritmo lento della vita. Per Troisi la pasta non era una gag, ma quotidianità, casa, calore.
Oggi, tra ristoranti stellati e trattorie storiche, la pasta resta la regina della tavola partenopea. È simbolo di accoglienza, di convivialità e di identità. Celebrarla significa ricordare che a Napoli la pasta non si mangia soltanto: si vive.
















