NAPOLI (Di M.G. Narciso) – Sia chiama così il tour partito da Torino e approdato a Napoli il 29 maggio scorso attraverso tutta la penisola realizzato a quattro mani da Gamberorosso e dal Consorzio di Tutela del Lambrusco Doc. Tappa anche a Roma, Lecce e Palermo con walk around tasting gratuito e annessa masterclass.

Un’occasione unica e mi auguro ripetibile per “viaggiare” virtualmente ma non troppo, nel caleidoscopico mondo del Lambrusco o meglio “dei” Lambrusco, quel vino italiano rosso, fresco e frizzante dal modesto tenore alcolico. Questo vitigno, tra i più noti nell’immaginario collettivo e forse il meno conosciuto è infatti sorprendentemente declinabile in termini di varietà, terroir, metodi di vinificazione che a loro volta risultano nelle cromie, nei profili organolettici e nei possibili abbinamenti a volte molto diversi tra loro.

Particolarmente popolare negli anni Sessanta del secolo scorso il Lambrusco fece registrare un boom di esportazioni grazie alla importante domanda del mercato americano. Il vino rosso più famoso al mondo acquisì quindi il soprannome di  “Coca Coca italiana” che sicuramente non dice nulla della complessità della materia e della storia lunga secoli che la contraddistingue. Della promozione e della comunicazione della cultura del Lambrusco finalmente si occupa dal 2021 il Consorzio di Tutela del Lambrusco nato dalla fusione di tre Consorzi di tutela: Consorzio di Tutela del Lambrusco di Modena, Consorzio Tutela e Promozione dei Vini Reggiani DOP e Consorzio di Tutela Vini Reno. E’ a questa organizzazione interprofessionale che spetta il compito di trasferire al grande pubblico “tutte le sfumature del Lambrusco”.

 

Già, i colori. Altro che 50 sfumature di rosso: dal rosa tenue e impercettibile al viola impenetrabile passando per il rosso rubino e il vermiglio. La palette di colori da sola fornisce sufficienti indizi sulla vasta gamma di produzioni. Particolarmente divertente è scrutare l’espressione dell’ospite all’atto della mescita quasi sempre accompagnata da un “oh!”. Ogni volta un’attesa disattesa, cioè una sorpresa. Questo è il Lambrusco.

6 denominazioni, 12 vitigni, 10.000 ettari allevati a Lambrusco nelle province di Modena e Reggio Emilia, circa 50 milioni di bottiglie prodotte annualmente.

I terroir sono estremamente diversi, dalle pianure della via Emilia alle altitudini dell’Appennino muta lo scenario, cambiano le altimetrie e le varietà allevate si allineano all’ambiente pedoclimatico.

Lambrusco è un nome collettivo quindi, che rappresenta una famiglia di vitigni, a volte molto lontani tra loro anche se accomunati da una unica traccia genetica.

Il Lambrusco Grasparossa ad esempio è allevato in collina a sud di Modena ma si trova anche nel Reggiano, il Salamino di Santa Croce è di casa a Carpi, il Lambrusco di Sorbara cresce prevalentemente in pianura nella area compresa tra il fiume Secchia e il Panaro in provincia di Modena, riconosciuta come la “zona classica”.

Ma non è finita qui: poi c’è il Barghi, il Maestri, il Marani, il Montericco, l’Oliva, il Viadanese, il Benetti, il Pellegrino, il Foglia Frastagliata. Tutti a pieno titolo nelle  6 Doc: Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, Lambrusco Salamino di Santa Croce, Colli di Scandiano e di Canossa, Modena e Reggiano.

 

Giacomo Savorini, direttore del Consorzio di Tutela del Lambrusco durante la masterclass ha il delicatissimo compito di concentrare in poco più di un’ora la panoramica sulle caratteristiche organolettiche che gli ospiti ritroveranno nel calice durante il successivo tasting ai banchi di assaggio.

Il mio compito ancora più arduo perché al massimo mi dedicherai due minuti. Ci provo.

Il Lambrusco di Sorbara, grande e gradevole freschezza, rosso chiaro con una evanescente spuma rosea, al naso violetta e piccoli frutti di bosco, sorso delicato dalla vena sapida.

Il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro, rosso rubino intenso con riflessi e spuma violacei. Al naso frutti scuri di bosco mora e mirtillo. Corposo, vinoso, gradevole freschezza, presenza dei tannini.

Il Salamino di Santa Croce, colore carico e spuma violacea, floreale al naso insieme alla frutta matura. Franco, fragrante, succoso.

 

Se fosse finita qui sarebbe ancora facile. Ma il Lambrusco come lo fai? Allora, lo puoi far rifermentare in autoclave realizzando la tipologia “Frizzante”, puoi farne uno Spumante e quindi ricorri allo Charmat o al Metodo Classico, oppure lo rifermenti in bottiglia come facevano i contadini e lo chiamerai appunto “ancestrale”.

 

Un mondo variegato e multiforme che fa venire voglia di andare per cantine più che per scaffali, magari partendo dai produttori del consorzio, al quale ci si può rivolgere per orientarsi tra le settanta imprese associate, di ogni dimensione e configurazione, associate.

 

Buon divertimento!

 

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