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Napoli

Viva la Vite a Napoli, buona la prima!

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NAPOLI (di M.G. Narciso) – Godibile, fruibile e soprattutto interessante la prima fiera dei vini naturali tenutasi a Napoli.
In un ambiente festoso allestito con semplicità all’interno del chiostro rinascimentale della Chiesa di Santa Caterina a Formiello, “Viva la Vite, quinta edizione a Pescara, approda in quel di Partenope per offrire al pubblico di appassionati del vino artigianale l’opportunità di entrare in contatto con storie e prodotti di aziende italiane ed estere ed acquistare direttamente in fiera con prezzi al dettaglio.

La manifestazione è una valida vetrina per quelle aziende che fanno dell’autenticità la propria mission ponendo al primo posto il rispetto della natura e dei suoi cicli. L’intento di “Viva La Vite” è quello di incrementarne la notorietà e facilitare lo sviluppo economico di aree a particolare vocazione vinicola, invogliare il pubblico a visitarle per valorizzare i luoghi di produzione. Conditio sine qua non per partecipare è che le cantine seguano direttamente tutte le fasi produttive, dalla vigna all’imbottigliamento e utilizzino solo uve proprie o acquistate nello stesso territorio. Ammesse alla selezione anche le aziende che non praticano trattamenti sistemici o utilizzano organismi manipolati geneticamente, e che limitano allo stretto necessario l’utilizzo di anidride solforosa SO2.

Viva la Vite è un’Associazione Culturale nata sull’onda di una comune passione nell’Ottobre 2016 e maturata nel corso degli anni attraverso la partecipazione a fiere vinicole in Italia, e all’estero. Ad un certo punto consapevolezza e passione si fondono per dare il via ad un progetto, concretizzatosi in un evento che si tiene per la prima volta a Pescara, in una regione, l’Abruzzo particolarmente sensibile al tema. Nel 2017 nasce “Viva la Vite”, fiera di vini artigianali.

Ma veniamo a Napoli. E’ domenica, la prima con l’ora legale. Io arrivo all’apertura, con la mia personale selezione estrapolata tra le 78 aziende espositrici, ma con l’idea di lasciarmi volentieri deviare da nuove tentazioni. Sono tutti rilassati e sorridenti. Sarà merito della Natura! Comincio dalle bollicine dell’Oltrepò Pavese di Castello di Stefanago e mi godo il coinvolgente storytelling che mi ha portato in giro, dalle vigne alla cantina, attraverso il naming e le grafiche che trovo fantastiche. Una cantina attivissima che ci aspetta il 28 e 29 maggio p.v. al Castello di Stefanago per la NWO, Natural Wines Oltrepò, pay-off “Vignaioli fighissimi e vini pazzeschi”. Promette bene! Io intanto passo al PIWI in gamma, un Bronner che guarda alle future evoluzioni climatiche, poi al Riesling Renano 2016 in purezza, per molti ma non per tutti, per finire al “Beverina”, il nuovo progetto low alcool di cui mi dice il vigneron Giacomo Baruffaldi. “E’ un vino da 7,5%, prodotto sostenibile e tradizionale nella economia minima domestica del contadino. Risultato del lavaggio delle vinacce ultimo residuo della vinificazione, lavate con acqua, il vinello che ne deriva fruisce degli ultimi zuccheri rimasti. La partenza della fermentazione è in bottiglia come un classico PetNat. Un vino piacevole, piuttosto una bevanda perché la denominazione ci impone di definirla “Bevanda aromatizzata al Vino. Al passo con i tempi, divertente, facile, dissetante”.
A base Traminer, farà gola alla Mixology.
Passo alla mia Puglia per ripassare i vini de L’Archetipo e mi perdo tra gli autoctoni Maresco, Susumaniello, Moscatello, tutti petillant e con residui zuccherini differenti. Tra i fermi Verdeca, Fiano Minutolo ma anche Greco e Primitivo.
Cammino cammino o meglio giro giro e incontro il prof. Moschetti con il “2 Vite”. Il vino è il frutto dell’ unione di due territori i.e. l’ Aglianico della sua vigna di Taurasi e il Piedirosso di Lettere della vigna dell’ enologo Vincenzo Mercurio. Insieme hanno messo a punto un metodo denominato MeMo (acronimo di Mercurio/Moschetti), un vademecum per chi vuole fare vini a fermentazione spontanea partendo dalla biodiversità in vigna. Il segreto è quello di creare discontinuità in vigna (pietraie, cassette per gli uccelli) per ottenere i micro e macro attori della biodiversità compresi i mangiatori di batteri che vivono nel suolo responsabili del rilascio di nutrienti per le piante. Solo sostanze organiche per fertilizzare indirettamente la pianta, agricoltura biologica per quanto attiene zolfo e rame, sostanze naturali che aiutano la difesa immunitaria della pianta così che l’uva arrivi integra in cantina, micorizzazione. That’s it. Sulle tracce degli autoctoni mi lascio affascinare dalla Ribona o dal Ribona dipende da chi lo dice, altrimenti detto “maceratino”, vitigno indigeno dei Colli Maceratesi, dalla sorprendente sapidità. E con Massimo Carletti di Podere Sabbioni ce lo immagino con una bella fetta di Ciauscolo, quel salame morbido e spalmabile tipico dell’entroterra marchigiano. Adoro.
Mi sposto di qualche chilometro da Cantina Bastianelli per girare intorno a Pecorino e Passerina altre splendide espressioni territoriali, presentate come opere d’arte dalle etichette dipinte.
Elia Giovacchini lo avevo già intercettato prima, ora è finalmente arrivato il momento di fermarmi a degustare i vini di Fattoria Lavacchio, nel cuore del Chianti Rufina. La tenuta conta più di centoquindici ettari, ventiquattro dei quali sono dedicati ai vigneti e cinquantasei a oliveti, mentre il resto è dedicato a boschi, tartufaie, grano e orto.
Un mondo fantastico da esplorare….con mooolta calma. Io comincio da PURO, la linea Senza Solfiti. Come dicono loro “vini prodotti seriamente ma che non si prendono troppo sul serio”. 4 i vini in gamma, il bianco da Trebbiano in purezza, il rosè blend di Sangiovese e Syrah, due rossi da Sangiovese di cui uno, udite udite, Riserva.
Passo per il Molise, che non è vero che non esiste, per divertirmi con il trittico di Tintilia del Molise di Agricola Vinica ma anche con “La Nuvola di Piè” il loro passito da Riesling e Moscato bianco. Il vigneto c’è, perché no?
Approdo in Basilicata da Ripanero per seguire l’Aglianico del Vulture nelle sue performance in acciaio, legno, anfora. Dulcis in fundo il mio amato Foradori, tra Nosiola e Teroldego, una full immersion nel territorio che resta una conferma.
Si è fatto tardi e io non ho finito il giro dei rossi ma va bene così.
Ho aperto tanti files, tutti da elaborare. Non era questo l’intento degli organizzatori?
Ah dimenticavo, ho avuto il tempo di pranzare in tutta comodità da Raraterra partner in fiera. No code, no stress, tutto buono.
Viva la Vite Napoli, buona la prima.

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