NAPOLI (Di Anna Calì) – Domenica il parco giochi Edenlandia spegne la sua 60ma candelina. Un compleanno importante per la città e il popolo napoletano. Sessant’anni. Sessant’anni di sorrisi, di corse felici verso un cancello che sembrava spalancarsi su un altro mondo, fatto di trenini fiabeschi, tronchi d’acqua e graffe zuccherate che ti restavano sulle dita e nel cuore. Se sei cresciuto a Napoli, sai benissimo che non è un parco giochi come tutti gli altri. È il parco giochi. Un luogo dell’anima.
Io ci ho passato l’infanzia. E con l’infanzia, ci ho lasciato dentro una parte di me che ogni tanto torna a bussare con nostalgia. Edenlandia era la prima tappa dopo l’ultima campanella di scuola: finite le lezioni, cominciava l’estate, e cominciava proprio da lì, da quel parco divertimento. Si andava con mamma, papà, con i cugini in carovana o, più spesso, con i nonni.
E oggi, mentre Edenlandia spegne le sue 60 candeline, io vorrei tornare lì per un’ultima passeggiata mano nella mano con mia nonna che non c’è più. Perché Edenlandia era anche il nostro modo di amarci: senza grandi discorsi, senza regali costosi. Bastavano le luci del trenino di Biancaneve e i Sette Nani, la voce cantilenante che accompagnava la corsa lenta tra le grotte finte e i personaggi animati, per sentirci felici. Bastava salire su quel drago che saliva e scendeva come una montagna russa addomesticata per noi bambini, con le urla che si trasformavano in risate.
E poi c’erano loro, i mitici tronchi d’acqua: una vera e propria impresa da piccoli eroi. Salivi con le ginocchia tremanti, aspettavi la discesa con il cuore in gola e poi giù, con il fiotto che ti lavava via ogni pensiero, lasciandoti fradicio e raggiante. Oggi, a pensarci bene, quei tronchi erano un’anticipazione della vita: salite lente, attese che sembrano eterne, poi improvvisamente si scende, tutto accelera, ti bagna, ti scuote. Eppure, anche se arrivi in fondo bagnato e un po’ spaesato, ridi. Perché hai avuto il coraggio di salire, e perché in fondo sapevi che ne sarebbe valsa la pena. Quelle emozioni, semplici ma enormi, sono il patrimonio più vero di Edenlandia. E della vita.
E come dimenticare, poi la graffa fritta? Non è una semplice ciambella: è una religione laica, un rito collettivo. Croccante fuori, calda e morbida dentro, inondata di zucchero e di infanzia. Anche quando Edenlandia è passata attraverso momenti bui, chiusa, riaperta, quasi dimenticata, la graffa è rimasta lì, a raccontarci che c’era ancora speranza, ancora gusto, ancora memoria.
Sessant’anni non sono solo una ricorrenza: sono una stratificazione di sogni. Edenlandia è sopravvissuta alle crisi economiche, agli abbandoni, ai silenzi istituzionali. È stata salvata, rilanciata, reinventata. Non è più quella di una volta, certo, ma in un tempo che corre veloce, avere ancora un luogo in cui fermarsi, sedersi su una panchina e sentire l’eco delle nostre risate bambini è già da considerarsi un piccolo miracolo.
Il futuro? Lo decideranno i bambini di oggi. Toccherà a loro ridisegnare i contorni di questo luogo magico. Ma noi, quelli cresciuti negli anni ’80 e ’90, sappiamo che Edenlandia è un pezzo di Napoli che non si dimentica. Perché ogni città ha il suo cuore, e qui batte tra una giostra e una graffa, tra un trenino e un nonno che aspetta.
Auguri Edenlandia. Sessant’anni portati con la leggerezza di chi sa che il tempo può anche passare, ma certi ricordi restano per sempre.