NAPOLI – Moltissimi hanno nascosto in qualche cassetto il loro manoscritto inedito; abbiamo sognato di ritrovarci sul set per dirigere il nostro lungometraggio o cortometraggio; tutte forme espressive, dunque, che sono figlie di quella insopprimibile esigenza di “raccontare per raccontarsi”: infatti, come sottolineava J.B. Thompson, “siamo tutti i biografi non ufficiali di noi stessi poiché è solo costruendo una storia, non importa quanto ben congegnata, che riusciamo a formarci l’idea a proposito di chi siamo e quale possa essere il nostro futuro”.

Insomma, è il linguaggio inteso come mezzo di comunicazione a definirci come attori sociali e “sentiendi”, difatti le varie forme artistiche altro non sono che diverse configurazioni per veicolare un messaggio.

Tuttavia pochi riescono a tradurre in realtà le loro velleità artistiche ma tra questi eletti un domani potranno essere annoverati gli studenti del Laboratorio di Produzioni audiovisive, teatrali e cinematografiche, attivato in modalità e-learning presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Istituto Universitario “L’Orientale” di Napoli e diretto dal Prof. Francesco Giordano.

Dopo la messa a fuoco di quello che è la sintassi del linguaggio cinematografico e televisivo, il montaggio, vera quintessenza di un prodotto audiovisivo al punto tale che per i formalisti russi è ciò che rende il cinema un’arte e che lo differenzia dalle altre forme artistiche, il Prof. Giordano ha ceduto la parola e la “cattedra virtuale” all’illustre ospite di giornata, Demetrio Salvi, regista, sceneggiatore, critico, docente, fondatore della rivista “Sentieri selvaggi” nonché coordinatore del laboratorio di critica “Sentieri selvaggi” della Scuola di Cinema, con sede a Roma.

La sua masterclass non ha semplicemente incuriosito ed entusiasmato gli studenti ma ha meiuticamente aiutato alcuni di loro a confessare senza alcun imbarazzo i progetti cinematografici che hanno in cantiere dispensando poi loro preziosi consigli per realizzarli. Coinvolgente ed empatico, Demetrio Salvi ha messo così a loro agio gli studenti che alcuni di loro si sono intrattenuti per il successivo dibattito, ben oltre quindi il termine della lezione, e proprio dietro l’input di una studentessa la discussione è virata verso la “vexata quaestio” che ruota attorno al preteso ruolo di dominus di un film del regista: insomma, che il film sia di quest’ultimo è solo una tacita convenzione o il regista è davvero la sintesi che dialetticamente sublima i contributi delle diverse professionalità che cooperano alla realizzazione di un film?

La riposta di Demetrio Salvi è stata illuminante in quanto, in primis, ha restituito alla sua reale dimensione e importanza una figura fin troppo trascurata e non apprezzata a sufficienza, quella del produttore esecutivo: non un semplice contabile attento solo a far quadrare i conti, ma un artista che funge da anello di congiunzione tra gli investitori e il regista che spesso indirizza e supporta durante il processo creativo; poi, dall’alto del suo osservatorio privilegiato per le sue proteiformi vesti di regista, sceneggiatore, critico e docente, Salvi si è detto d’accordo con coloro che attribuiscono la paternità di un film esclusivamente al regista dal momento che quest’ultimo è l’unico ad averne una visione d’insieme, panoramica, già nel suo farsi oltre ad avere l’ultima parola in merito a ogni scelta artistica, dagli oggetti di scena alle inquadrature, utilizzando a tal fine la felice metafora del direttore d’orchestra e dell’allenatore di calcio.

In pratica, il regista è un ibrido tra Marcel Duchamp, per il quale “ciò che l’artista sceglie è arte” visto che solo ciò che è approvato dal regista rientra in un film, e Michelangelo che soleva dire di riuscire a intravedere nel blocco di marmo la statua che voleva modellare al punto tale che gli era poi sufficiente solo eliminare il superfluo da quella figura in nuce per farla emergere in tutta la sua magnificenza. Tuttavia, che il film sia solo del regista, è poco rilevante dato che più correttamente un film è nel contempo del regista e di tutte le altre professionalità che concorrono alla sua produzione rivelandosi così un’icastica allegoria della condizione umana: gli esseri umani sono allo stesso tempo individui solipsisti e animali sociali che per sopravvivere nella giungla urbana tessono relazioni con gli altri “atomi” sociali attraverso il linguaggio e le altre forme espressive; motivo per il quale gli altri dovrebbero coadiuvare nel valorizzare le nostre identità, non certo ad annegarle in un mare di ipocrisia e pregiudizi proprio per far sì che ciascuno, parafrasando il poeta Novalis, sia l’unico “regista” del film della propria vita.

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