NAPOLI (Di Anna Calì) – C’è un mappamondo che non gira su un supporto di plastica né si illumina a LED. È fatto a mano, con strati di carta riciclata, impastata, modellata, incollata, colorata. Non è perfetto: ha angoli storti, continenti un po’ spostati, oceani leggermente sbavati. Ma è, forse, il più vero dei mondi.
Lo hanno realizzato bambini di scuola primaria, raccogliendo la carta pulita delle loro aule: fotocopie dismesse, vecchi quaderni, fogli dimenticati. Invece di finire nel cestino, quei pezzi di carta sono diventati materia prima di un gesto simbolico e potente: ricostruire il mondo con ciò che normalmente viene scartato.
L’iniziativa nasce all’interno del progetto Carta Canta – la differenziata di qualità, frutto della collaborazione tra le due associazioni “Realizza l’idea”, “Perfareungioco” e Ama spa.
Ma la vera magia è accaduta in classe: lì dove la carta è diventata ponte tra educazione ambientale, cittadinanza attiva, creatività e impegno sociale.
Il mappamondo non è solo un prodotto artistico. È un messaggio.
I bimbi hanno studiato forme, culture, colori. Hanno imparato che il mondo è grande, che ci sono terre dove si vive in pace e altre dove si combatte ogni giorno per sopravvivere. Hanno capito che ogni piccolo gesto può fare la differenza: anche riciclare un foglio, anche disegnare una bandiera, anche accogliere chi arriva da lontano.
L’opera è stata esposta all’interno della mostra Colors for Peace, come testimonianza concreta di cosa significa educare alla pace attraverso l’arte. Perché educare alla pace non è solo parlare di guerra: è costruire alternative. È modellare un mondo diverso, anche solo per gioco, anche solo per un giorno.
La mostra è stata fatta per celebrare il decennale di Colors for Peace, associazione no profit che fa realizzare disegni ispirati alla pace dai bambini di tutto il mondo, ed è totalmente gratuita e sarà aperta al pubblico per un mese all’interno del Palazzo delle Esposizioni di Roma.
E in quel mappamondo sghembo, eppure bellissimo, c’è tutto: l’amore per il pianeta, il rispetto per le differenze, la speranza di un futuro più giusto.
C’è soprattutto la lezione più importante che i bambini ci stanno dando da anni:
il mondo può essere rifatto.
Con le mani. Con la colla. Con la carta. Con il cuore.
Ed è al tal proposito che abbiamo ascoltato l’insegnante Teresa De Chiara.
Come nasce l’idea di realizzare un mappamondo con carta riciclata, coinvolgendo i bambini nella raccolta e nella creazione?
“L’idea non nasce in relazione diretta a “Colors for Peace”, ma si è poi integrata perfettamente con questo progetto. Io sono una docente di scuola primaria e da anni mi occupo di progetti didattici legati alla tutela ambientale e all’Agenda 2030, sempre calati nella realtà delle scuole primarie.
Quest’anno ho cominciato un progetto di riciclo con una scuola nel quartiere dei Parioli, nel secondo municipio di Roma, in collaborazione con AMA, l’associazione “Realizza l’idea” con sede a Roma, e l’associazione “Perfareungioco” che ha un laboratorio a Testaccio dove si realizzano manufatti in cartapesta e laboratori per bambini. Abbiamo avviato la raccolta di carta pulita nelle scuole primarie. Era un progetto che avevo in mente da tempo, perché ogni anno assisto a uno spreco enorme di carta: quintali di fotocopie, libri tecnici… tutte tipologie di carta assolutamente riciclabile.
Così è nato “Carta Canta – la differenziata di qualità”, realizzato con “Realizza l’idea”, di cui faccio parte, e l’altra associazione. A Testaccio, quartiere di Roma, dove queste realtà hanno un laboratorio, si realizzano manufatti in carta pesta. Ho messo insieme i pezzi: scuola, ciclo della carta, manufatti artistici, arte e immagine, Agenda 2030, educazione civica… Era tutto già strutturato.
Poi Anna Palermo, curatrice della mostra Colors for Peace insieme a Mario Gallo, Segretario Generale di Colors for Peace mi ha proposto di inserire il mappamondo all’interno dell’esposizione, così da creare un’opera simbolica che unisse amore per la Terra, per l’ambiente e per tutto ciò che ci circonda. L’amore per il pianeta è anche amore per la pace. I bambini riescono a immaginare, vedere e costruire il mondo attraverso i loro occhi e le loro mani. C’è stata una bellissima sinergia tra professionisti e idee che ha portato alla realizzazione del progetto finale”.
In che modo l’arte può diventare uno strumento educativo per sensibilizzare i più piccoli su tematiche come la pace e l’ambiente?
“L’arte è espressione dell’anima. E i bambini, che io considero anime pure, attraverso l’arte riescono a esprimere la loro bellezza interiore, il desiderio di pace, il bisogno di armonia. La bellezza che ci circonda ci cura l’anima”.
Spesso si parla della Generazione Alpha come iperconnessa alla tecnologia, ma poco connessa con i rapporti umani e la natura. Come affronta questo tema nel percorso educativo a scuola?
“Durante l’apertura della mostra, ho parlato proprio della Generazione Alpha, che è quella nata con i dispositivi in mano. A scuola però io faccio esprimere i bambini con il metodo classico, attraverso la manualità, la scuola attiva. Utilizziamo anche tablet e lavagna digitale, ma tutto è finalizzato al “fare”.
Noi viviamo a Roma, che è un museo a cielo aperto: andiamo nei luoghi che studiamo, li tocchiamo con mano. A volte facciamo anche doppie visite: prima andiamo a vederli, poi li studiamo in classe, e poi ci torniamo. I miei alunni scrivono in corsivo, non stampano, non digitano. Hanno il “callo dello studente”, come si diceva una volta. Vengo da una famiglia di docenti e conosco il valore della scrittura, della bella grafia, dei quaderni ordinati e ricchi di disegni, non solo di fotocopie. Così il bambino memorizza meglio, non scrolla, non passa oltre.
Nel Nord Europa stanno tornando ai libri cartacei, alla scrittura in corsivo. Io vivo alcuni mesi all’anno in Olanda, dove i bambini ricevono libri in regalo, giocano con materiali in legno, dipingono. L’arte è parte integrante della vita quotidiana”.
Nel momento storico che viviamo, segnato da conflitti, crisi ambientali e disuguaglianze, qual è il ruolo della scuola e degli educatori?
“I miei alunni hanno otto anni, ma parlano con consapevolezza di Trump, di Netanyahu, della geopolitica. Sanno chi sono gli israeliani, chi i palestinesi. Io faccio moltissima educazione civica. Quando l’hanno reintrodotta, ho esultato. Senza educazione civica, i bambini non diventano cittadini consapevoli.
Purtroppo oggi molti bambini crescono senza un vero nucleo familiare. Tornano a casa da soli, in alcuni quartieri di Roma e non trovano neppure un pasto caldo. Vengo da Marcianise, so cosa significa avere una famiglia. Qui a Roma, spesso, non c’è nessuno ad accoglierli. Questo genera rabbia e disorientamento.
Io proporrei una legge per la settimana lavorativa breve, con tre giorni in presenza e tre in remoto per entrambi i genitori, così da garantire sempre la presenza di un adulto in casa.
La scuola può colmare queste assenze attraverso l’educazione civica e la riscoperta dei valori fondanti della società, come la famiglia. Senza sapere chi siamo, non possiamo capire cosa saremo”.
L’inno della pace presentato al Palazzo delle Esposizioni può diventare uno strumento di cambiamento sociale?
“Sì, ma non da solo. Può essere un supporto, un accompagnamento. Come tutte le canzoni, va spiegato, interiorizzato. Spesso si canta senza sapere cosa si sta dicendo. Se invece viene analizzato, il messaggio arriva. Il video è bellissimo, ricco di immagini sovrapposte con intelligenza. Le parole sono di Luce, una bambina figlia di papà italiano e mamma giapponese. Una bimba “figlia del mondo”, come dico io. Ha ispirato questa canzone da piccolissima. Per puro caso si chiama Luce, che è anche il nome della mascotte del Giubileo. Tutto questo ha un significato simbolico enorme”.


















