NAPOLI (Di Anna Calì) – C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel tirare fuori, quasi con innocenza, uno stereotipo nei momenti meno opportuni. È quello che è successo poche ore fa, quando Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i territori palestinesi, nel corso di un evento pubblico ha detto: “I milanesi, a differenza dei napoletani, hanno ben presente che la mattina presto devono alzarsi per andare a lavorare”.
Queste parole non sono solo una gaffe: sono il sintomo di un pregiudizio antico che ha radici profonde nella cultura italiana, e che continua a ferire, anche se molti pensano “ma è solo uno scherzo”, “non voleva offendere”. No: è molto più di questo.
A renderle ancora più gravi è il fatto che a pronunciarle sia stata una donna originaria di Avellino, quindi una conterranea, che avrebbe dovuto conoscere meglio la fatica, la dignità e la forza del Sud. Sentire simili stereotipi provenire proprio da chi viene da quella stessa terra rende l’offesa doppia, perché arriva da dentro.
Da decenni, i napoletani e in generale i meridionali vengono dipinti come meno laboriosi, più pigri, meno disciplinati: un cliché che appare spesso in battute, in commenti politici, sui social, nei media, e che diventa un modo per sminuire, giustificare disparità economiche e sociali che invece hanno cause strutturali reali: disoccupazione, infrastrutture carenti, investimenti pubblici bassi, divario nei servizi, opportunità meno uniformi.
Quando una persona con visibilità ripete queste frasi, che apparentemente possono sembrare banali, in realtà va a rafforzare una narrazione ingiusta: quella secondo cui il meridione “merita” di restare indietro, perché non dà tutto se stesso; quella che “se sei povero è perché non vuoi lavorare abbastanza”.
Per affermare il contrario è sufficiente guardare intorno: a Napoli ci sono migliaia di persone che si alzano all’alba, che fanno i turni nelle fabbriche, nell’ospedaliero, nella ristorazione, nel commercio, nei trasporti e nei mercati. Persone che lavorano con ritmi duri, spesso in condizioni difficili, con salari bassi o precari, e spesso senza riconoscimento. Persone che non solo mantengono famiglie, ma che salgono trincee sociali ogni giorno.
Essere napoletani non significa essere “sfaticati”, com’è stato suggerito: significa essere resilienti davanti alle avversità, significa avere radici culturali profonde che danno valore al lavoro, al sacrificio, alla solidarietà. Significa, per molti, dover sopperire a carenze sistemiche, infrastrutture che non funzionano, trasporti poco efficienti, servizi scadenti, ma continuare comunque a impegnarsi, a crederci, a non mollare.
Le parole contano, perché costruiscono realtà. Lo stereotipo è una lente deformante: quando entra nel discorso pubblico, influenza le politiche, i giudizi, le opportunità. Se si pensa che “i meridionali non vogliono lavorare”, si tende a giustificare una politica che offre meno, che investe meno e, infine, che controlla meno.
Se viene affidata, poi a una voce pubblica, come quella di Francesca Albanese, la responsabilità è ancora maggiore: le persone guardano, ascoltano e assorbono. E una frase uscita di passaggio può diventare pietra su pietra di un muro invisibile, ma reale, che separa: Nord e Sud, Cittadini e cittadini, umili e potenti.
Serve un passo in avanti, e serve da parte di tutti.
Non possiamo continuare a trattare gli stereotipi come battute folkloristiche o tic linguistici innocenti. Ogni volta che un cliché viene ripetuto, anche distrattamente, diventa più vero agli occhi di chi ascolta. E così si consolida un’immagine distorta che pesa sulle persone, sui territori, sulle opportunità.
La responsabilità comincia da chi parla in pubblico, da chi ricopre ruoli istituzionali, politici o culturali. Le parole dell’Albanese, per quanto forse pronunciate senza cattiveria, mostrano quanto sia facile scivolare in una narrazione che separa l’Italia in due: da una parte chi “si alza presto”, dall’altra chi “non ha voglia di lavorare”. Ma la realtà non è questa, e chi ha voce pubblica ha il dovere di conoscerla prima di parlare.
La scuola e la cultura devono fare il resto. Parlare di pregiudizio non significa solo affrontare il razzismo verso “gli altri”: significa riconoscere anche quello che attraversa le nostre stesse regioni, le nostre famiglie, i nostri linguaggi quotidiani. Bisogna insegnare ai giovani a riconoscere e smontare i luoghi comuni che dividono e feriscono, perché dietro uno stereotipo si nasconde sempre una diseguaglianza reale.
Infine, la politica. Basta con le dichiarazioni di principio sull’unità nazionale se non sono accompagnate da azioni concrete. Servono politiche che riducano davvero le diseguaglianze territoriali, come: infrastrutture, lavoro, scuola, sanità, per rendere inutile, anacronistico e ridicolo ogni cliché sul “Sud fannullone”. Solo quando il Paese sarà equo nelle opportunità, potrà esserlo anche nelle parole.
Albanese ha sbagliato e non basta chiedere scuse, ma è occasione per riflettere su quanto radicato sia lo stereotipo del meridionale sfaticato nella mentalità comune. È il momento di ribaltare quella narrazione: non perché difendiamo un orgoglio campanilistico, ma perché chiediamo rispetto, uguaglianza e senso di comunità nazionale.
I napoletani sono semplicemente italiani che vivono in contesti diversi, spesso con più ostacoli, e che non per questo valgono di meno. È ora di renderlo evidente.
Al tal punto che Gennaro De Crescenzo ha lanciato un appello rivolto al primo cittadino, Manfredi:
Emanuele Papa (Presidente Commissione Trasparenza V Municipalità): “Il Sindaco Manfredi revochi subito la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese per le sue offese a Napoli e ai napoletani”
«Le parole di Francesca Albanese, che ha tentato maldestramente di essere ironica affermando di essere rimasta sorpresa dalle manifestazioni a favore di Gaza: «Per Gaza sono scesi in strada di notte anche i milanesi, che in genere, a differenza dei napoletani, hanno ben presente che la mattina presto devono alzarsi per andare a lavorare..»
Rappresentano un insulto intollerabile alla dignità della nostra città e dei suoi cittadini.
Chi discrimina Napoli e i napoletani con frasi sprezzanti e stereotipi vecchi di decenni non può essere insignito della nostra cittadinanza onoraria, che dovrebbe essere un simbolo di rispetto, gratitudine e riconoscimento verso chi contribuisce a onorare il nome della città, non a denigrarlo.
Per questo motivo chiedo ufficialmente al Sindaco Gaetano Manfredi di procedere immediatamente alla revoca della cittadinanza onoraria conferita a Francesca Albanese, gesto dovuto per tutelare l’immagine di Napoli e il rispetto che i napoletani meritano.
Napoli è una città di lavoratori, di cultura, di solidarietà e di orgoglio. Non accettiamo lezioni né insulti da chi pretende di rappresentare diritti e popoli ma si permette di disprezzare un intero territorio con parole cariche di pregiudizio.
Chi offende Napoli non può esserne cittadino onorario.»


















