NAPOLI (Di Anna Calì) – Un uomo solo in mezzo a un campo di calcio, una maglietta con la scritta “Free Gaza” e un messaggio che rimbalza in tutto il mondo. È bastato questo a Mario Ferri, 38 anni, per trasformare una semplice partita amichevole in un atto di denuncia globale.
Durante l’incontro Norvegia–Israele, disputato ieri sera allo stadio Ullevaal di Oslo, Ferri, noto come “il Falco”, ha fatto irruzione sul terreno di gioco portando con sé un messaggio tanto semplice quanto potente: libertà per Gaza. Nel giro di pochi secondi, l’immagine della sua corsa è diventata virale, accendendo un dibattito che va ben oltre i confini dello sport.
Negli ultimi mesi, il conflitto in Medio Oriente ha riacceso la tensione internazionale e riaperto ferite profonde. In questo scenario, il gesto di Ferri si inserisce come un atto simbolico, una forma di protesta silenziosa ma visibile, capace di sfruttare il linguaggio universale del calcio, seguito da miliardi di persone, per riportare l’attenzione sulla sofferenza dei civili intrappolati a Gaza.
Molti lo considerano un provocatore, ma in realtà la storia del “Falco” è anche quella di un uomo che ha sempre scelto il campo di gioco come spazio di libertà e di messaggio. In passato Ferri aveva già usato lo sport per denunciare guerre, ingiustizie e discriminazioni. Questa volta, però, il messaggio “Free Gaza” arriva in un momento particolarmente delicato, in cui le voci di solidarietà rischiano di perdersi tra la diplomazia e la disinformazione.
Il calcio, si sa, è da sempre più di un gioco. È uno specchio della società, un’arena dove politica, emozioni e diritti si intrecciano. E se un gesto come quello di Mario Ferri riesce a trasformare una serata sportiva in un momento di riflessione collettiva, allora forse il suo messaggio ha già raggiunto il traguardo più importante: ricordare che dietro ogni slogan ci sono vite umane che chiedono di essere ascoltate
















