CAVA DE TIRRENI – Domenica gli Ultras della Cavese hanno assaltato il bus della Nocerina nell’area di servizio Ofanto Nord, lungo l’autostrada A16 Napoli-Bari. Durante lo scontro è stato colpito al volto il tecnico rossonero Alessandro Erra. Sul posto è giunta la Polstrada di Grottaminarda che ha evitato il peggio.
Un fenomeno quello degli assalti ultras sempre più frequente, che si sta propagando a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale. Solo poche settimane fa infatti, lungo l’A1 all’altezza di Arezzo, sempre nei pressi di un’area di servizio si erano incrociati ultras di Roma e Napoli, scatenando una guerriglia che ha bloccato la circolazione stradale e generato il panico.Sui continui episodi di violenza il sociologo e criminologo Luca Vincenti, autore del libro “Diari di una domenica Ultrà” e ricercatore sul tema della violenza negli stadi, ha stilato le “regole per il tifo”.

“Non si può dimenticare l’efferato omicidio di Ciro Esposito tifoso del Napoli assassinato a colpi di pistola dall’ultrà romanista Daniele de Santis (alias Gastone) appartenente allo storico gruppo ultrà di estrema destra – ormai sciolto – conosciuto come ‘Opposta Fazione'”, ricorda Vincenti, che precisa: “il delitto era maturato in occasione della finale di Coppa Italia Fiorentina-Napoli ospitata a Roma. In primo grado Gastone era stato condannato alla pena di 26 anni, per poi vedersi in secondo grado ridotta la condanna a 16, è di qualche giorno fa la notizia di un ultimo sconto di pena a 11 anni.”
“Quell’omicidio avvenuto nel lontano 2014, è rimasto impresso nella mente di tutti, anche in quella degli ultrà romanisti e napoletani che – spiega il criminologo – a distanza di 9 anni hanno rievocato la loro indelebile memoria storica “liberando” vecchie ruggini e la loro voglia di vendetta. Questi fatti hanno allarmato un po’ tutti, incluso il Governo che ha varato provvedimenti di urgenza come il divieto di trasferta.

Nonostante le rassicurazioni di Gastone – che asserisce da dietro le sbarre che tra napoletani e romanisti non esista una vera propria faida, ma solamente un fuoco destinato a spegnersi – nessuno sembra davvero credere a queste affermazioni, e il tema della prevenzione della violenza “negli stadi” torna alla ribalta.”

Da tempo ormai la questione riecheggia sia nelle cronache giornalistiche che nelle aule parlamentari, e trova tutti impegnati ad affrontare un vecchio problema mai risolto, cercando però un approccio “nuovo”.
Vincenti, in qualità di ricercatore sul tema della violenza negli stadi – già nel 2002 – aveva proposto un decalogo intitolato “10 regole per fare il tifo”, suggerendo alcune raccomandazioni utili per poter varare delle norme giuridiche al fine di contrastare la violenza negli stadi.
Alcuni di questi suggerimenti – a distanza di anni – sono divenuti provvedimenti veri e propri, altri invece non hanno trovato ancora attuazione. Di seguito proponiamo una sintesi e una riedizione del “decalogo” di allora.

10 Regole per fare il tifo
(AREA MEDIATICA)
“Il principio dell’autocelebrazione”
Gli ultrà si nutrono di fama e di autocelebrazione, ovvero concepiscono lo stadio come la loro scena teatrale, il loro palcoscenico da calcare ove essere indiscussi attori protagonisti. Per questa ragione, già a quei tempi erano stati indicati i seguenti interventi preventivi:
Divieto di inquadrare le curve.
Tutto ciò che rientra nel “carrozzone” degli ultrà deve essere messo in ombra e omesso dalla comunicazione.
Coreografie, tifo, bandiere, striscioni (indipendentemente dal contenuto pacifico o violento), manifestazioni di ogni tipo che celebrino in qualche modo l’immagine degli ultras devono essere escluse dalla comunicazione, oscurando totalmente l’opera degli stessi.
Gli scontri negli stadi non dovrebbero essere trasmessi, poiché rappresentano la linfa vitale del movimento: la loro autocelebrazione, l’attuazione visibile della volontà di potenza, il meccanismo riproduttivo della violenza e dell’odio immortalato in immagini, che servono a ingigantire la fama degli appartenenti al gruppo.
Divieto di diffusione dell’immagine di opinion leader o capo carismatico.
Assistiamo spesso a salotti televisivi, interviste, comunicati stampa ove viene promossa l’immagine degli ultrà veicolata quasi sempre da un capopopolo, un opinion leader della curva. Altre volte assistiamo a manifestazioni sportive ove gli ultras compaiono vicino a membri della società di calcio, dirigenti, calciatori, o a personaggi famosi che tifano la stessa squadra. La prevenzione e la lotta agli ultras inizia sul piano mediatico e dalla comunicazione di massa, spegnendo i riflettori su di essi, evitando di associare l’immagine della società civile a quella del capo carismatico violento che parla a nome di un gruppo.
Tutto questo genera una reale confusione nella percezione del pubblico che finisce per accettare la loro presenza e la leadership violenta. Queste rappresentazioni mediatiche elevano lo statuto “sociale” dei leader, rendendoli sempre più popolari e quindi influenti agli occhi dell’opinione pubblica. Ciò rende gli ultrà popolari e virali abbassando la percezione degli ascoltatori che non comprendono di trovarsi innanzi a gruppi devianti che promuovono – oltre che il normale “tifo” – la violenza come codice “sociale” sotteso. La visibilità mediatica degli ultras – e dei loro capi – risulta deleteria anche dal punto di vista dell’arricchimento illecito, poiché aiuta i leader a monetizzare la propria immagine sia nel mercato lecito del merchandising, sia in quello illecito proveniente dai reati associati al controllo delle curve.

AREA GIURIDICO NORMATIVA
(Il principio prossemico della tracciabilità)
Braccialetto elettronico per i sottoposti a daspo.
Le diffide, e poi nella forma più evoluta nell’istituzione della Daspo, hanno dato negli anni buoni risultati, ma solo a livello contenitivo. Ciò perché dagli anni ‘90 – a seguito della dislocazione dello scontro – gli ultrà si sono sempre più scontrati lontano dagli stadi ed in campo “aperto”.
Già nel 2002 avevamo proposto l’introduzione del braccialetto elettronico che può essere inserito come ampliamento nelle misure Daspo. L’utilizzo del dispositivo permetterebbe di controllare e tracciare gli ultrà soggetti alla misura preventiva. Inoltre il braccialetto elettronico costituisce un concreto deterrente alla prevenzione degli incidenti (sia negli stadi che lontano da questi), in quanto permette di “associare”, attraverso l’acquisizione della posizione degli individui, gli appartenenti dei medesimi gruppi ultrà e di quelli avversi geolocalizando eventuali assembramenti e scontri, restituendo alle forze dell’ordine in tempo reale eventuali adunate sediziose sul territorio.
L’iscrizione dei club ultras in un registro di associazioni in tribunale.
Occorrerebbe introdurre l’obbligatorietà di tesseramento e della registrazione del Club ultras presso un registro in tribunale delle associazioni, in modo da rendere nota l’identità dei tifosi organizzati e le loro “cariche sociali”.
L’obbligo di una sede che identifichi il gruppo ultras all’interno di un club.
Indispensabile anche l’obbligo di avere una sede fisica, punti di reperibilità per ogni associazione-gruppo ultrà. Ogni gruppo ultrà che si identifichi come tale – attraverso il possesso di uno striscione – deve essere registrato all’interno di una sede con un proprio responsabile. La sede (se è uno spazio pubblico) può ospitare anche più gruppi, benché abbia tesserato i suoi tifosi.

AREA TRIBUTARIA E FISCALE
(il Principio tributario-contributivo)
L’iscrizione al registro del commercio o ad enti istituzionali che obblighino i gruppi ultras e i loro club fisici a una contabilità tracciabile.
Non è un mistero che i leader esercitino la professione di ultras a tempo pieno, o ad ogni modo che esercitino un’attività remunerativa (gestita direttamente o indirettamente) tale da rappresentare un’importante fonte di guadagno per essi stessi e per gli altri “luogotenenti” reggenti del gruppo. La tracciabilità risulta uno strumento importantissimo e permetterebbe:
Mettere in regola dal punto fiscale (con relative partite iva) le entrate monetarie di soggetti che fino ad oggi attraverso il merchandising hanno una entrata non dichiarata al fisco.
Controllare l’afflusso di denaro dimostrabile con le attività lecite e che non provenga da affari illeciti come droga, calcio scommesse, ecc.
Limitare l’uso esclusivo di contanti all’interno dei gruppi ultras, in modo da ricostruire il reddito del gruppo anche in vista di poter individuare eventuali collusioni con organizzazioni criminali e il relativo riciclaggio di denaro sporco (si veda i fatti di Genova dove si emetteva fattura).
Controllare le “collette” (dentro e fuori gli stadi) e le relative raccolte fondi che avvengono regolarmente nelle curve e stabilire un eventuale “redirezionamento” per altri fini (a chi vanno i soldi? Per quali motivi?)
AREA SOCIETARIA-SPORTIVA
(il Principio dello estorsivo e dello scambio)
Interdire i rapporti di scambio tra ultras società di calcio.
Le società di calcio per anni hanno avuto un rapporto ambivalente coi gruppi ultrà. Da una parte le società si sono servite dei supporter come sostegno alla squadra, cedendo a questi una quantità importante di biglietti a titolo gratuito. Compromesso che è andato avanti per anni in modo “consensuale”. Ciò è avvenuto per garantire alla squadra un certo seguito dei propri tifosi, ma dall’altra parte questo meccanismo scivoloso ha concesso spazi agli ultrà che hanno alzato costantemente e senza averne il diritto le loro richieste. Molte società di calcio sono “scivolate” nell’estorsione, subendo pressioni e minacce (di possibili e talune volte immeritate contestazioni) ed altre volte ancora i membri societari hanno subito aggressioni fisiche, perpetrate ai danni di calciatori e dirigenti che non si allineavano ai voleri degli ultras. Impedire i rapporti di scambio, ovvero tenere alla larga gli ultrà dalle società sportive è un dovere delle società, ma anche delle istituzioni che devono vigilare più attentamente sui rapporti tra società e gruppi ultras.
Impedire business collegati al mondo del calcio e l’estorsione ai club calcistici e ai calciatori. Scambio bis.
Sebbene la richiesta di biglietti da parte degli ultrà sia un problema endemico in voga fin dalla nascita del movimento ultras (fin dagli anni 70 gli ultrà andavano nelle società di calcio a prendere biglietti omaggio), da un decennio a questa parte le mafie sono entrate a piedi uniti nelle curve assumendo il controllo di queste e imprimendo una forza estorsiva al business dei biglietti.
Questo è avvenuto attraverso un sodalizio criminale che ha permesso una co-gestione della curva da parte di ultrà e mafie tradizionali.
Un business fondato sulla concomitanza oggettiva di interessi economici comuni. Dai biglietti “omaggio” estorti e venduti dai leader ultrà – con il supporto delle mafie tradizionali per far confluire i denari nelle proprie tasche (si veda l’inchiesta Last Banner) al calcio scommesse che vedeva minacciati giocatori e società (come nel caso dell’inchiesta del gruppo ultras genoano che ricattava la dirigenza) ed addirittura una società che fatturava le estorsioni come “servizi” da scaricare come spese.
La necessità è quella di interdire queste forme di scambio (scambio bis) tra ultras e società anche in forza alla penetrazione delle mafie tradizionali all’interno dell’organigramma ultras.
L’accollamento dei costi di gestione dell’ordine pubblico alle societa’ sportive
L’accollamento delle spese di gestione dell’ordine pubblico a carico delle società di calcio è certamente la medicina amara che esse non vogliono in alcun modo ingerire, ma che come appare logico – oltre che etico – è indispensabile che si assumano. Dobbiamo partire dal presupposto che le società calcistiche sono aziende private che operano nella logica del rischio di impresa. Come tutti gli operatori commerciali sono alla ricerca della massimizzazione dei loro profitti, così come nella riduzione drastica delle perdite. Nell’esercizio di qualsiasi impresa vi sono quindi costi fissi legati all’oggetto del business, perdite, ma anche incassi.
In questo caso le società che acquistano e vendono giocatori a fior di milioni acquisendo plusvalenze societarie, chiudono contratti da capogiro con sponsor e televisioni, incassano abbonamenti e biglietti dello stadio dai propri tifosi, vendono su piazza internazionale gadget e merchandising, pagano profumatamente i loro calciatori, allenatori. In tutta questa lista mancano completamente i costi di gestione dell’ordine pubblico, che sono invece ad esclusivo carico dello Stato e di noi, contribuenti tutti. Lo Stato sostiene settimanalmente un vertiginoso costo pubblico che in assenza delle manifestazione sportive private non esisterebbe, facendo fatica a equilibrare i propri bilanci circa la prevenzione attiva e la mobilitazione di migliaia di unità di polizia che potrebbero invece essere impegnate su altri fronti pubblici.
In sintesi se gli ultrà violenti – coloro spesso legati con la società nel rapporto di scambio – non esistessero lo stato risparmierebbe milioni di euro annui circa i costi di pubblica sicurezza derivanti dallo spiegamento di risorse dovute alle partite di calcio di tutte le serie. Le società di calcio, sono le uniche aziende private che utilizzano e sfruttano costantemente risorse statali per far funzionare il proprio business ed arricchirsi senza pagare alcun onere pubblico.

AREA ANTIMAFIA
(il Principio di razionalità dell’impresa criminale)

Definire i reati degli ultra’ come reati di associazione a delinquere
Il rapporto tra ultrà e mafia siciliana, camorra napoletana, e Ndrangheta calabrese è qualcosa di concreto, com’è stato documentato già nel 2000 nella pubblicazione “Diari di una domenica ultrà”. Come se non bastasse “l’associatività” è stata dimostrata più recentemente dalla magistratura in diverse inchieste giudiziarie, tra cui quella più nota denominata “Last Banner”.
Dobbiamo considerare gli ultrà come operatori commerciali inseriti in un mercato illegale, capaci di operare con estrema razionalità insieme alle mafie tradizionali e rispetto agli obiettivi economici che si prefiggono. Occorre inoltre considerare la violenza da essi prodotta (non come circostanziale e frutto della compulsività), ma come il mezzo strategico e gestito dai leader per ottenere il controllo sul loro territorio e sul “proprio” pubblico in modo da garantirsi specifici benefici economici.
L’alleanza con le mafie, e l’adozione di codici mafiosi, spinge gli ultrà a “crescere” dal punto di vista del “metodo” – mafioso – indispensabile per farsi accettare e tessere così nuovi business con le potenti organizzazioni criminali sul territorio.
Dobbiamo pertanto considerare che un’azione di contrasto al “tifo violento”, deve necessariamente inquadrare il fenomeno ultras come un business per alcuni leader (di stadio e di clan) un affare illegale perseguito in partnership con soggetti di spicco della criminalità organizzata, che ne hanno implementato la remuneratività.
Gli ultras pertanto nel compimento dei loro reati – come ad esempio le minacce, l’estorsione, e le violenze praticate sui calciatori i risultati calcistici e quindi per condizionare e per ottenere benefici – si servono di un preciso metodo che merita l’inquadratura giuridica dei “normali” reati associativi.

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