L’autore Roberto Sannino in arte Iago ci presenta il suo nuovo lavoro editoriale: “Il Re delle Antilopi”. È la natura il tema cardine di tutta la lettura, in particolar modo la Savana africana e il modo in cui essa cambia e si evolve. Getro e Anipe: un leone e una gazzella. Un legame forte e innaturale che va a muoversi contro l’ambiente tradizionale. L’evoluzione e l’adattarsi al nuovo stile di vita e al nuovo mondo, per questo motivo può tutto questo abbattere tutto ciò che l’evoluzione è stata in grado di creare e costruire? Un viaggio che si alterna tra la vita e la morte, andando ad alternare con maestria la fiaba e la favola, suscitando nel lettore tale curiosità e intrigo. Ma soprattutto che porterà alla riflessione della natura e il modo in cui dovremmo imparare a prenderci cura del mondo animali.

Sinossi: Getro e Anipe. Un leone e una gazzella. Un legame innaturale che muove contro la tradizione di un ambiente condizionato dall’istinto. Può un sentimento nuovo abbattere millenni di evoluzione? Sullo sfondo mutevole della Savana africana la storia dei due strani animali tenta di rispondere a questa semplice domanda. Lo sviluppo della vicenda è accompagnato dalla crescita del felino che gradualmente prende coscienza della sua diversità. È un viaggio nell’assurdo, dove vita e morte respirano la stessa aria e dove il dubbio è la sola certezza concessa. Questa “fiabola”, ibrido tra fiaba e favola, è un inno in lode a quegli animi coraggiosi che contro ogni avversità rivendicano il possesso della loro vita, della loro scelta, del loro sapersi abitare.

Sign. Iago come mai la scelta di scrivere sotto pseudonimo e com’è nato questo nome?

“La decisione fu presa dopo aver incontrato la poesia, evento che in un certo senso mi ha stravolto la vita. Avevo circa 35 anni quando ciò avvenne, ho dovuto ricalibrare la mia esistenza su misure totalmente nuove. Sono rinato nello stesso corpo, in un certo senso è stata una concrescita inaspettata. Una nuova vita necessita di un nome diverso, Iago, ovviamente preso dalla penna di Shakespeare, è un tipo scomodo che riesce nell’impresa di far ingelosire Otello, perché conosce perfettamente le dinamiche dell’animo umano, con l’intero bagaglio di atrocità e bassezze. Non mi piace lui, come potrei condividere quel che ha fatto, ma i poeti riescono in quello che fanno solo se accettano di indagare anche le storture, l’ignominia e l’aberrazione, per convertirla in bellezza. Iago mi ricorda che noi possiamo fare qualsiasi cosa; bene e male, scelte che fanno parte della nostra quotidianità”.

“Il Re delle Antilopi” è il titolo del suo ultimo lavoro editoriale, ci può parlare di come nasce l’idea e la storia?

“Ho sempre mantenuto il focus sulle sorti degli esclusi che pur sapendo di non essere accettati, con amor proprio e determinazione procedono spediti lungo la personale “selva oscura”. Necessitavo di una storia originale, mai affrontata prima e quale mezzo migliore se non quello offerto dalla madre di ogni istinto: la natura. Sono stato molto attento a non umanizzare eccessivamente gli animali, sottraendoli dall’ingerenza della nostra morale. Il legame sentimentale tra il leone Getro e l’antilope Anipe spezza i dettami dell’evoluzione sbranando mode e tradizioni, indirettamente è un monito nei confronti della figura dell’artista, che nel nostro paese è asservito al potere precostituito e non fa nulla per evidenziarne le pecche, per disobbedire, per comunicare indipendenza”.

La lettura viene scandita da aspetti fondamentali. Come per esempio l’unione della fiaba e della favola e il saper unire vita con morte. Come mai questa scelta e che messaggio vuole lanciare con questo romanzo?

“Questa storia l’ho chiamata “fiabola” appunto perché fonde i due generi, spesso fraintesi, mantiene l’elemento magico della prima inserendolo nelle vicende che hanno per protagonisti gli animali, caratteristica propria della seconda, inoltre non ha un pubblico preferenziale ma sicuramente non è per bambini. Il ritmo è dato dalla precarietà. In natura in ogni istante si vive e si muore, proprio come accade all’essere umano che ha volutamente reciso il cordone ombelicale con l’istinto, si illude di essere immortale o comunque di vivere a lungo e puntualmente lo fa sulla pelle degli altri, scientemente con cruda determinazione. Il rapporto predatore-preda non si basa sull’odio o lo sfruttamento ma su una forma d’amore a noi ignota cioè la forma che ha originato l’universo. Non mi preoccupo di trasferire un messaggio o di confezionarlo in un libro, non mi sento di dire che questo sia un lavoro di formazione, piuttosto di informazione. Ognuno ne trae quel che preferisce. Dentro questa bottiglia di carta c’è scritto come diseducare, come arrivare alla sorgente della personalità. Una sorta di riconciliazione con le forze primordiali”.

Il libro va ad affrontare anche la tematica della natura con la presenza della Savana. Una natura che ultimamente sembra volersi ribellare, cosa pensa si possa ancora fare per invertire la rotta e soprattutto pensa che sia troppo tardi?

“Siamo noi che ci stiamo ribellando alle sue leggi, lei troverà sempre il modo di esistere. Dovremo riconsiderare il nostro posto nel mondo. Teniamo le nostre case pulite, sistemiamo i nostri giardini e non consideriamo, ad esempio, un bosco come l’estensione delle nostre dimore. Il salto da fare è spirituale, soltanto così si può difendere un bene comune che tra l’altro è gratuito. Spesso penso ai dinosauri e a quel meteorite, se serve ad una nuova rinascita, perché no?”

In che momento della sua vita nasce l’esigenza di entrare in contatto con la scrittura e può parlarci dei suoi precedenti lavori editoriali?

“Nella vita capitano situazioni dolorose, il dolore mi ha concesso questa via di fuga che è la poesia. L’urgenza di scrivere è arrivata dopo, quando ho approfondito la materia. I miei primi libri erano pensierini, sfoghi messi a caso. Negli anni poi ho trovato la mia frequenza, il mio modo di togliere il bianco dal foglio per far emergere il respiro delle cose. Non scrivo mai direttamente sul PC, è fondamentale vedere e sentire il chiasso che fanno le lettere quando si incontrano. Con la poesia cerco di trovare una continuità personale con il mondo e scrivere mi consente di tenerla vicino, è una tensione emotiva notevole. Non c’è nulla di appagante e consolatorio nei miei versi, non concepisco la poesia come strumento educativo o propedeutico alla scoperta dei sentimenti. È una responsabilità che non le compete, nessun poeta può insegnare come si sta al mondo, semmai ci dice i motivi della sua esclusione. Fatemi il nome di un poeta realizzato, non lo troverete, a loro manca sempre un centimetro per fare un metro. Per questo scrivo molto, alla continua ricerca del mio ordine di misura, ho editato 12 libretti di poesia, altri due usciranno a breve e saranno scomodi, ma necessari. Poi mi prenderò una pausa, ne ho bisogno”.

Qual è la difficoltà maggiore che ha riscontrato nel mondo della scrittura e se l’ha superata come ha fatto?

“Ho subito capito, a mio guadagno, di non appartenere al mondo della scrittura, intendo con ciò l’inserimento in un certo apparato culturale. Sono autodidatta e non mi piacciono gli assembramenti di settore, rimango abbastanza defilato, anche se so perfettamente che promuovere se stessi è fondamentale, cosa che in passato ho fatto con continuità, ma che oggi mi costa. Dovrò rimettermi in moto di certo, come ho detto oltre a questo romanzo usciranno altri due libri di poesia, promuovere tre produzioni sarà dura. Le difficoltà sono strutturali, il sistema culturale italiano è ingessato. Piovono quintali di informazioni, spesso finte, slogan e pubblicità farlocche. In questo dedalo di input preconfezionati, il pubblico è disorientato. Scegliere diventa difficile, i meriti spariscono e chi dispone dei migliori mezzi economici la spunta su chi vale di più ma non potrà godere del proprio lavoro. Situazione questa, figlia di una pessima trasformazione: siamo passati da cittadini a clienti e questo dato è irreversibile”.

Qual è il genere che proprio non vorrà mai scrivere e per quale motivo?

“Non scriverò mai secondo quel che interessa a tutti. La scontatezza di certi romanzi è avvilente, manca l’invenzione, il cercare di scrivere una storia che è nell’aria ma che non è stata ancora messa su carta. Oggi l’autore si affaccia alla finestra è si chiede: cosa vuole la gente? La domanda dovrebbe essere: cosa voglio io? Viviamo nella società dell’immagine, vorrei vivere nella società dell’immaginazione”.

Ha in mente di scrivere altri romanzi? Se sì, quali e su che tematica?

“Ho strutturato diverse storie, ho iniziato a svilupparne una, che parla della solitudine delle persone. Lo strapotere di una certa propaganda sociale, messa in atto dai nostri governi (nessun partito escluso), ha inevitabilmente portato ad una certa depressione urbana. La vedo, quasi la tocco. Lo stare insieme sta diventando una difesa più che un piacere, lo star soli spaventa. Masse frenetiche cercano contatti ad ogni costo, illudendosi di poter allievare la loro insoddisfazione. Questo nel tempo sarà il problema, una grande piaga sociale. Dobbiamo amarci con più impegno, costruire è faticoso, non pensare è suicidante. Le apparenze ingannano, la nostra è una società malata. La cura esiste ma ci vuole senso critico e coraggio. Resto comunque ottimista, non potrei scrivere altrimenti, credo nelle persone con tutto me stesso”.

 

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