Direttore | Michele Mariotti
Maestro del Coro | Marco Faelli Programma Franz Schubert, Sinfonia n. 8 in si minore, D 759 "Incompiuta" Franz Schubert, Messa n. 6 in mi bemolle maggiore, D 950   Soprano | Alessandra Marianelli Mezzosoprano | Monica Bacelli Tenori | Alessandro Luciano, Anicio Zorzi Giustiniani Basso | Michele Pertusi Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo Teatro di San Carlo Sabato 2 Aprile 2016, ore 20.30 (Turno S) Domenica 3 Aprile 2016, ore 18.00 (Turno P)

NAPOLI – Venerdì 3 dicembre alle 18, torna sul podio dell’Orchestra del Teatro di San Carlo Michele Mariotti, che dopo aver aperto la Stagione di Concerti 21/22 è impegnato nel secondo appuntamento del cartellone sinfonico del Teatro di San Carlo.
In locandina la Sinfonia n. 1 in do maggiore, Op. 21 di Ludwig van Beethoven e la Sinfonia n.1 in si bemolle maggiore, Op. 38 di Robert Schumann.
In ambito concertistico Mariotti ha diretto alcune delle più prestigiose orchestre al mondo tra cui, l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia, l’Orchestre National de France, i Münchner Symphoniker, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, la Filarmonica Arturo Toscanini di Parma, I Pomeriggi Musicali di Milano, l’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala, gli Essener Philharmoniker, l’Orchestra Haydn Ha diretto inoltre all’Auditorium del Lingotto di Torino, al Festival di Peralada, al Liceu di Barcellona, al Teatro Real di Madrid, al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, all’Ópera de Tenerife, al Festival de Radio France a Montpellier e al Festival de Saint-Denis.

Dalla guida all’ascolto
del programma di sala del concerto del 03 novembre 2021

Beethoven e Schumann: due esordi sinfonici memorabili per la storia della musica
La Sinfonia n.1, composta nel 1799, è da sempre stata considerata una sorta di chiusura ideale del Settecento e di quell’epoca del classicismo viennese incarnata da Mozart e da Haydn. Anche per questo è considerata quasi un corpo staccato rispetto all’imponente opus magnum delle altre otto sinfonie interamente ottocentesche. Il giovane Beethoven era giunto pochi anni prima dalla nativa Bonn a Vienna prendendo sul serio l’invito a studiare con lui che Haydn gli aveva rivolto dopo averlo sentito suonare di passaggio dalla sua città. Le lezioni di persona erano state poche e poco curate, ma Beethoven aveva potuto studiare a fondo la vasta produzione musicale di Haydn e dei suoi contemporanei, dimostrando nelle sue opere di esordio la sua capacità di assimilazione. Conosciamo le prime, ingenue. Esperienze compositive nel genere sinfoniche del giovane Beethoven e sappiamo che fin dal suo arrivo a Vienna avrebbe voluto cimentarsi con quel repertorio che il suo maestro ideale aveva portato al massimo sviluppo in quel secolo, ma prudentemente preferì attendere qualche anno prima di osare una presentazione pubblica, che avvenne per la prima Sinfonia, composta in Do maggiore, il 2 aprile del 1800 nell’Hoftheater nazionale viennese alla presenza di Haydn. La sinfonia fu stampata come op.21 e dedicata al baron Gottfried van Swieten, uno dei primi protettori di Beethoven. Eppure, sotto la veste formale di totale ossequio ai suoi venerati modelli Haydn e Mozart, già in questa prima sinfonia Beethoven dimostra di avere delle idee molto personali che si lasciano intravvedere in più punti, tanto che il pubblicò sembrò piuttosto scandalizzato per le intemperanze timbriche, giudicate troppo “militari” e poco armoniose. Nel primo movimento, dopo una Introduzione lenta che resterà una caratteristica anche nelle sinfonie successive e che si apre già con un sorprendente accordo dissonante di settima di dominante, si ha subito l’esposizione del tema principale dell’Allegro, di carattere ritmico, seguito da un secondo tema più melodico e grazioso. Già in questo tempo emerge nella ripresa la tipica attitudine alla variazione di frammenti dei temi principali su cui Beethoven costruirà le sue grandi sinfonie future. Come indica il titolo in italiano, l’Andante “cantabile” che segue propone in forma sonata una sezione di forte tinta lirica, in cui perfino la presenza dei timpani assume una delicatezza imprevedibile. Il Minuetto successivo sembra pagare più esplicitamente il debito con i suoi grandi modelli settecenteschi. Eppure già in questa prima sinfonia Beethoven utilizza la parola arcaica “minuetto” per presentare quello che per lui è chiaramente il futuro Scherzo. Lo si capisce dall’impeto del tema iniziale, una scala cromatica ascendente, dinamica e presto modulante. Il Finale si suddivide in due parti separate da andamenti opposti. Inizia in Adagio con una scaletta di Do ripetuta cinque volte ma ogni volta partendo da un grado differente, per sfociare poi nell’ “Allegro molto e vivace” che rispecchia la sua denominazione con un andamento impaziente ed esuberante. Il movimento e tutta la sinfonia terminano con una Coda che ribadisce la scala di do proposta dai corni e clarinetti cui si uniscono poi gli archi e tutti i fiati in un fortissimo che s’imprime nella memoria degli ascoltatori.

Quarant’anni più tardi Robert Schumann, ormai riconosciuto ormai non solo come critico musicale ma anche come compositore di musica per pianoforte e di Lieder, decise che era giunto il momento di cimentarsi a sua volta con il genere romantico per eccellenza, la sinfonia, di cui Beethoven era divenuto il modello supremo. Si trattava di un momento magicamente felice nella vita del compositore, dopo il suo matrimonio con Clara Wieck e – come dichiarò lo stesso Schumann – era stato “tentato di smontare il pianoforte”, divenuto troppo stretto per contenere le sue idee. Non sorprende dunque che la sua prima Sinfonia fosse abbozzata in quattro giorni, all’inizio di gennaio del 1841 e già il 31 marzo fosse stata presentata in prima esecuzione alla Gewandhaus di Lipsia. L’impulso creativo in questo genere orchestrale era così intenso e inarrestabile, che nei mesi successivi Schumann continuò a produrre brani sinfonici e addirittura l’ossatura di quella che sarebbe divenuta la sua quarta Sinfonia. Peraltro lo incoraggiavano in questa strada, oltre alla moglie Clara, le attestazioni di stima dell’amico Mendelssohn, che diresse la prima esecuzione dell’op.38 e che pochi anni più tardi lo avrebbe invitato a insegnare nel Conservatorio di Lipsia da lui fondato.
Il titolo “La primavera” che accompagna la prima sinfonia sarebbe stato pensato inizialmente dallo stesso Schumann, ricavandolo da un’omonima ode del poeta Adolf Böttiger. Ma iniziarono presto vari ripensamenti e adattamenti di quel tema (“Risveglio di primavera”, “Addio alla primavera”) di cui il compositore non era convinto, per paura che il programma suggerito dall’intitolazione così precisa potesse imbrigliare l’interpretazione più aperta del suo lavoro. Del resto lo stesso Schumann, una decina d’anni prima, aveva posto un’esplicita critica all’abitudine di intitolare le sinfonie del tempo di Beethoven, nella finzione del dialogo tra Eusebio e Florestano:

Il giudizio, o Florestano, per cui tu dici di amar meno l’Eroica e la Pastorale pel fatto che Beethoven stesso le ha denominate così, ponendo dei limiti alla fantasia, mi sembra che sia fondato su una giusta impressione. Ma se tu mi chiedi: perché? non saprei risponderti.

La struttura della Sinfonia n.1 op.38 di Schumann presenta quattro tempi secondo il modello beethoveniano, con lo Scherzo al terzo posto. L’inizio è con una introduzione lenta e solenne (Andante un poco maestoso), nella tonalità d’impianto di Si bemolle maggiore, seguita da un Allegro molto vivace in classica forma sonata bitematica. Il Larghetto del secondo tempo si sarebbe dovuto intitolare “Sera”, nella primitiva impostazione a programma della sinfonia, ma non è necessaria l’intitolazione per riconoscere la magica rarefazione notturna che fa spazio al sogno in questo movimento. Lo Scherzo è il tempo più complesso nella struttura di questa sinfonia, con due Trii di carattere opposto intercalati al tema principale che, tornando più volte, fa pensare a un movimento di Rondo. Nel Finale si sarebbero dovuti ritrovare gli elementi del programma più direttamente legati alle caratteristiche della Primavera evocata dal titolo poi eliminato. Si avverte anche un tentativo non palesato di far riapparire elementi tematici dell’inizio della sinfonia (quel motivo che alcuni studiosi hanno chiamato “chiamata al risveglio”) in diversi punti e in particolare nell’ultimo tempo, probabilmente per suggerire una forma ciclica poi non completata. In tutte le sinfonie di Beethoven, ma anche in quelle di Mendelssohn, il ricorso all’autocitazione motivica serviva appunto per creare una qualche forma avvertibile come unitaria. Ma è la conclusione del brano in crescendo di tutta l’orchestra a far pensare alla simile conclusione della prima Sinfonia di Beethoven, con simile entusiasmo giovanile.

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