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NAPOLI (di F.Colucci)- In questi giorni, mentre si celebra in tutto il mondo il “Nelson Mandela Day”, giornata istituita dalle Nazioni Unite in onore del primo Presidente nero del Sudafrica, icona universale di libertà e giustizia per la lotta contro l’apartheid, in Italia la presidente della Camera Laura Boldrini ha presentato i lavori finali della Commissione Parlamentare sull’intolleranza, la xenofobia e il razzismo. Il risultato, di fatto, è la denuncia della presenza nel Belpaese di una “piramide di odio, che si fonda su uno strato di stereotipi negativi e rappresentazioni false di fenomeni sociali” fra cui, in primis, la presenza di migranti. Se facciamo un salto indietro nella storia, prima di Mandela la politica dei governi di Pretoria era stata quella dell’esclusione dei neri da ogni diritto sociale e civile: dominava l’apartheid, legge di discriminazione razziale nata sulla scia del mito nazista della supremazia dell’etnia bianca. 

Oggi, nel Belpaese la retorica di alcuni leader politici è pericolosamente vicina a posizioni discriminatorie; si incita l’opinione pubblica all’odio, si innalzano muri barricando i confini, si propongono politiche identitarie. Non c’è da sorprendersi, quindi, se “l’Italia appare come il secondo Paese più razzista d’Europa” (Saraceno, 2017).  Resta allora da chiedersi se la lezione di Mandela, leader indiscusso della lotta per i diritti civili universali, non sia ancora attuale: in un Paese in cui lo Ius soli sembra un diritto ancora lontano, e i rifugiati che scappano da guerra e miseria vengono considerati come invasori, la sfida dell’accoglienza e dell’integrazione potrebbe assomigliare alla battaglia per contrastare l’apartheid. In gioco ci sono i diritti dell’ essere umano, al di là del sesso, del colore della pelle, della religione. 

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