NAPOLI – Interno con Marmi è l’opera di Flavio Favelli presentata per il nono appuntamento di “Incontri Sensibili” , le mostre focus del Museo e Real Bosco di Capodimonte che pongono in dialogo gli artisti contemporanei con le collezioni del Museo.

L’installazione, a cura di Angela Tecce e Sylvain Bellenger, con la collaborazione di
Luciana Berti, è stata ideata in relazione al Ciborio, realizzato tra il 1619 e il 1623, su progetto di Cosimo Fanzago per contenere il Santissimo Sacramento nella
chiesa di Santa Patrizia a Napoli.
Una vera e propria architettura in miniatura, impreziosita dalla tecnica del commesso marmoreo che imita tralci vegetali, vasi con fiori e uccellini, un monumentale tabernacolo del barocco napoletano in bronzo dorato, rame dorato, marmi policromi e
pietre dure (diaspri, ametista, agata, lapislazzuli).
Un dialogo che non si limita al tabernacolo ma che si estende anche alle altre opere esposte nella mostra “ Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli” , a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello. Interno con Marmi è composta da materia li di varia provenienza, marmo e legno, che evocano gli ambienti domestici delle case borghesi italiane. L’opera produce uno spazio ambiguo e instabile, giocato su pochi colori omogenei, con punti ciechi e vani angusti, risultando in forte contrasto con la simmetria e la preziosità del Ciborio, espressione del Barocco napoletano. Come un monumento su un piedistallo, l’opera di Favelli riunisce in sé frammenti di memorie personali e collettive. Allo stesso tempo, pone a confronto due modelli estetici e culturali, votati entrambi a custodire un mistero inconoscibile. “Ho pensato di realizzare quest’opera come una
costruzione effimera, avendo in mente l’idea del baldacchino e del ciborio, del quale trovo
interessante anche la funzione di contenitore dell’Eucarestia. Quando ho finito di assemblare l’opera, mi è sembrata simile a un’edicola – cippo , a un mausoleo, che
rimanda  appunto a qualcosa di funereo, un ambito desueto al giorno d’oggi, a meno
che non si abbia una tomba di famiglia. – riflette l’artista – La base conferisce un
carattere monumentale all’installazione. Rispetto al Ciborio di Santa Patrizia, i piani sono ribaltati, mentre ad avvicinare le due opere è l’uso di materiali preziosi
come il marmo portoro”. Oltre che dal tabernacolo, l’artista ha tratto ispirazione dai
piccoli altari trovati sull’isola di Creta e in Uzbekistan, come lui stesso racconta: “Di recente sono stato in Uzbekistan e a Creta dove ho visto altarini sui cigli della strada e piccoli cimiteri recintati con ferro arrugginito. Queste strutture per quanto riferite a due paesi diversi e distanti, si somigliano in quanto oggetti religiosi, spirituali e funerei, sul cui significato profondo ancora ci si interroga”. Ricordi di viaggio sui quali si innesta un immaginario legato alla provincia italiana, che resta un riferimento culturale costante nella poetica di Favelli. “Ho scelto questo materiale, il legno delle porte realizzate artigianalmente con modanature e in alcuni casi con più strati di vernice,
perché conservano una loro storia. Una delle porte, per esempio, ha due piccoli adesivi della Nastro Azzurro, che rimanda sia al mondo dell’imprenditoria italiana che a una disciplina nobile quale la vela. Quello degli adesivi sui mobili e le porte è un uso
che rimanda agli ambienti domestici degli anni Settanta e Ottanta che conosciamo bene e abbiamo praticato”.
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