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La violenza di genere raccontata in “Lia” romanzo dell’autrice Maria Cristina Russo

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NAPOLI – Dopo la partecipazione a diverse raccolte corali con racconti dedicati al mondo femminile, Maria Cristina Russo pubblica il suo primo romanzo “Lia”, edito da IVVI, casa editrice spin off per esordienti di NPE Nicola Pesce Editore.

Il volume è disponibile in tutte le librerie e store digitali oltre che sul sito della casa editrice (https://www.ivvi.it/product/lia/).

Maria Cristina Russo, da sempre appassionata di storie di donne e ottima osservatrice e ascoltatrice, nel libro narra le vicende di una moglie, ingiustamente vessata per 30 anni da un marito despota e violento che, divenuta vedova, si apre finalmente alla vita.

Non è una narrazione autobiografica ma la raccolta di vissuti ed esperienze che sono state narrate all’autrice e che lei ha voluto portare alla luce per insistere e porre sempre attenzione al tema della violenza di genere.

Un plot narrativo avvincente dove tragedie familiari e amorose si intrecciano grazie alla presenza di personaggi ambivalenti e non sempre positivi, delineati e descritti perfettamente dall’autrice: insospettabili colletti bianchi che dentro le mura di casa diventano mostri, professionisti che a causa di vizi personali cadono in disgrazia e uomini che vivono vite al limite sono alcuni dei protagonisti che gravitano attorno a Lia.

Non è una storia a lieto fine quella di Lia. Con un’educazione rigida ricevuta fin da piccola, con un carattere fragile e un’indole remissiva, Lia pensa che la ricerca di un nuovo amore possa ricompensarla dopo tanto dolore ma la vita continua a non essere generosa con lei.

“Ho deciso fin da subito di non voler scrivere una storia a lieto fine. Sarebbe stato fin troppo scontato. Non mi è mai interessato raccontare le vicende di una principessa salvata dal principe a cavallo. Anche perché queste storie raramente esistono” è quanto afferma Maria Cristina Russo. “Le storie di abusi e violenze sono tante, troppe e spesso a opera di insospettabili. Bisogna imparare a reagire”.

Dott. ssa Russo il romanzo dal titolo “Lia” affronta una tematica difficile ma attuale: la violenza di genere. Come mai ha scelto di dedicarsi a questo tema e quant’è stato difficile mettere il tutto su carta?

““Lia” nasce perché sentivo l’esigenza di porre ancora una volta l’accento su di un argomento che è, purtroppo, sempre di attualità, basti pensare che dall’inizio del 2024 si contano già sessanta casi e oltre di “femminicidio” segno che, per quanto se ne parli e se ne discuta, il problema persiste ed è lungi dallo scemare. Inoltre, volevo sottolineare quanto fosse importante considerare che la violenza domestica non è esclusiva di un determinato ceto sociale, né frutto di una sottocultura che vede la donna considerata come un mero oggetto: la storia di Lia si svolge all’interno di quella borghesia fatta di colletti bianchi e perbenismo di facciata dove certi atteggiamenti vengono abilmente occultati agli altri, salvo poi ad esplodere nella loro più efferata violenza”.

Ci può raccontare qualcosa in più su questa “Lia” e soprattutto spera che il suo messaggio possa essere da monito a tutte quelle donne che si trovano nella sua stessa condizione?

““Lia” è una figura simbolica, è la somma di tutti i disagi e le violenze psicologiche, fisiche ed economiche che alcune donne vivono all’interno della famiglia; inoltre la mia protagonista parte svantaggiata dal momento che cresce in una famiglia nella quale la formalità, l’apparire agli occhi degli altri perfetta e coesa impone una educazione di tipo maschilista dove al figlio maschio tutto è concesso, mentre lei deve mantenere un contegno che non le consente quelle libertà che normalmente una adolescente prima e una ragazza poi dovrebbe vivere. Infatti, la madre di Lia è un’altra figura simbolica perché rappresenta la donna nemica della donna, quella pronta a giudicare ma che fa di tutto per non esserlo. È pertanto scontato che una ragazza come Lia, che poco o nulla sa della vita cada nella rete del matrimonio-scappatoia, per poi finire dalla padella nella brace. Certo, mi piacerebbe che Lia potesse essere d’aiuto a qualche donna in difficoltà, ma purtroppo la cronaca ci insegna che per quanta informazione si possa fare il problema persiste, per questo è fondamentale parlarne in tutti i modi e le forme possibili”.

Potremmo parlare di tantissime donne vittime di violenza sia fisica che psicologica, ma la mente torna sempre a Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin. Secondo lei, cosa può scaturire nella mente di un uomo ad arrivare a uccidere persino il figlio che la donna porta in grembo e, cosa pensa si possa fare per arginare il problema?

“Nel caso di Giulia Cecchettin ci troviamo di fronte ad un chiaro caso di manipolazione da parte del suo assassino, venuta meno la quale è scattato il meccanismo mia o di nessuno. Per quanto riguarda Giulia Tramontano ci troviamo, invece di fronte al classico caso di vigliaccheria, perché mancando il coraggio di confessare l’inconfessabile, si preferisce eliminare il problema pensando assurdamente di poterla fare franca; ovviamente il bambino rappresenta un ulteriore ostacolo alla possibilità di portare avanti un altro rapporto in piena libertà: ammazzo te e il bambino, che tra l’altro disconosco, in un ulteriore patetico tentativo di giustificare il mio gesto. In entrambi i casi, ma in qualsiasi caso di violenza domestica e femminicidio, oltre alla scarsa considerazione che si ha del proprio partner, c’è a monte la mancata educazione alla sensibilità e al rispetto del prossimo”.

Ha in mente di portare il suo libro all’interno delle scuole? E soprattutto crede che sia giusto partire proprio dai giovani ragazzi?

“Per rispondere alla prima domanda sì, mi piacerebbe riuscire a portare il mio libro all’interno delle scuole e spero di riuscirci. Per quanto riguarda il secondo quesito credo che la questione sia più ampia, perché parlare ai soli ragazzi senza creare un’azione sinergica con le famiglie degli stessi è, a mio avviso, come costruire un palazzo senza prima partire dalle fondamenta: non ci dimentichiamo che spesso dietro una ragazza insicura che cade vittima di un compagno violento c’è, quasi sempre, una famiglia che non ha saputo accompagnarla nel suo percorso di crescita stimolando le sue potenzialità e la sua autostima, mentre spesso un uomo violento è stato un ragazzo vittima di una educazione maschilista che non necessariamente dipende solo dalla figura paterna, ma spesso da una madre che non ha saputo insegnargli il rispetto per le donne e quindi per se stesso”.

Com’è nata la passione per la scrittura e quanto tempo le dedica?

“La passione per la scrittura è nata di pari passo con quella per la lettura essendo sempre stata una divoratrice di libri sin da piccola; a questo aggiunga una natura emotiva che mi ha spesso portata ad avere difficoltà ad esprimere con la parola quello che avevo nell’animo ed il gioco è fatto. “.

“Lia” non è il suo ultimo e unico lavoro editoriale. Ci può parlare degli altri lavori e soprattutto se ha in mente di scrivere altri libri e se sì, su che tematica’.

“Prima di “Lia” ho pubblicato un libro che si intitola “Ortensia ed altri fiori”, edito da Albatros il Filo, nel quale ho raccolto undici storie di donne i cui nomi sono fiori e che in maniera più o meno diretta mi rappresentano o rappresentano figure femminili incontrate nel mio percorso di vita e che hanno stimolato la mia curiosità. Al momento sto in fase di “elaborazione” per un possibile futuro libro”.

Ha per caso ricevuto già risposte da donne che hanno letto il suo libro e si sono ritrovate nella stessa condizione di “Lia”?

“Al momento no, ma spero di poter essere di aiuto nell’eventualità che qualche donna si rivolgesse a me anche solo per confidarsi”.

Cosa desidera dire a tutte queste donne vittima di violenza?

“È difficile dire qualcosa che non sia scontato o sentimentalistico, piuttosto mi piacerebbe rivolgermi a quelle donne che proprio non riescono a solidarizzare con le altre, a quelle donne che si trincerano dietro al moralismo formale, pronte a criticare se un’altra donna si comporta in un modo che loro non ritengono consono al loro modo di pensare, che magari vanno in chiesa per battersi la mano sul petto pronte, poi, a ricominciare. Ecco è a queste donne che vorrei far capire che finché non ci sarà solidarietà nel mondo femminile nulla cambierà in generale”.

 

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