NAPOLI – La televisione si conferma il mezzo principale per l’acquisizione di informazioni, anche se è sempre più evidente lo spostamento, sempre più rapido, verso le piattaforme online. I dati indicano, inoltre, una progressiva diminuzione nell’uso dei quotidiani e della radio per informarsi.

Lo dice la Relazione annuale dell’Agcom, illustrata al Parlamento dal presidente Giacomo Lasorella, e che rappresenta la prima relazione di questa consiliatura che ha preso il via lo scorso 2 ottobre e che vede componenti con Lasorella anche Laura Aria, Antonello Giacomelli, Elisa Giomi ed Enrico Mandelli.

La relazione dice anche che nonostante la crescita delle audience e del consumo di informazione, rilevato almeno per televisione e internet, i risultati economici sono fortemente negativi per tutti i mezzi di comunicazione e le analisi mostrano una flessione degli introiti pubblicitari causata sia dalla minore disponibilità di spesa degli inserzionisti sia dall’abbassamento dei prezzi di vendita degli spazi pubblicitari, a eccezione di quelli dell’online.

Tutto ciò si traduce – rileva l’Agcom – in una riduzione complessiva dei ricavi per i media, che alla fine del 2020 scendono a 11 miliardi, con una perdita rispetto al 2019 di oltre 1 miliardo, corrispondente a una variazione negativa del 9,5%, in analogia con il generale quadro macroeconomico (con una variazione del PIL pari a -9%). I periodici sono il comparto editoriale che ha sofferto di più, con una riduzione della raccolta pubblicitaria pari al 36,6%, seconda solo a forme pubblicitarie come il transit o l’outdoor.

La tv primo mezzo per informarsi sul Covid
Durante la pandemia la televisione è stata di primo mezzo scelto dagli italiani per informarsi. Nel corso del primo semestre 2020, tutti gli operatori televisivi hanno modificato i propri palinsesti, sia con una maggiore offerta informativa, sia con spazi appositamente dedicati al Covid-19, sia con programmi di intrattenimento. Tramite i telegiornali, i programmi di approfondimento, i quotidiani appuntamenti con le conferenze stampa della Protezione civile (dal mese di febbraio fino al 30 aprile 2020) e quelle del presidente del Consiglio, la televisione ha fornito un’ampia copertura informativa sia in termini medico-sanitari, sia sui processi decisionali del governo.

Nella fase più acuta dell’epidemia le fonti informative televisive e in particolare i tg nazionali e regionali hanno segnato un’impennata negli ascolti e nella fruizione. Al pari dell’andamento osservato nel corso della cosiddetta prima ondata dell’epidemia, anche a ottobre quando la curva dei contagi ha iniziato nuovamente a salire, i telegiornali delle 20 (Tg1, Tg5 e Tg La7) hanno raggiunto una quota consistente dei telespettatori della fascia oraria (pari al 49%) con un incremento di 3 punti percentuali. Un ruolo altrettanto importante ha giocato l’informazione locale trasmessa dalla TgR con un significativo balzo degli ascolti rispetto al 2019 durante il lockdown (+4,7% di share), cosi’ come nel mese di ottobre (+3,5% di share). Tale effetto risulta visibile anche se si analizzano gli andamenti degli ascolti dei telegiornali delle 20 su base annuale (+2,5 punti percentuali per i Tg1, Tg5 e Tg La7) e della TgR (+2,8 punti percentuali).

Ricavi in contrazione
Tuttavia, sotto il profilo economico, si registra una contrazione dei ricavi del settore (-5,2%), dovuta in particolare alla riduzione della raccolta pubblicitaria (-11%) che risente in modo più importante della crisi macroeconomica. Anche se in misura inferiore, si assiste anche alla riduzione dei ricavi da abbonamenti e pubblicità delle televisioni a pagamento (-0,5%) dovuta soprattutto alla riduzione nei palinsesti di contenuti premium di particolare attrattiva (sport) che sono stati interrotti nel lockdown. I primi tre operatori, (Sky, RAI e Fininvest), canalizzano comunque più dell’80% delle risorse.

L’anno appena trascorso ha evidenziato l’affermarsi dell’on-demand sia da parte di operatori tradizionali (Rai e Mediaset) che nuovi (Netflix, Amazon Prime, Dazn). Un primo effetto è stata l’affermazione delle offerte televisive a pagamento sul web che raggiungono una quota pari al 21% e sono le uniche offerte in aumento (+7 punti percentuali).

In aumento le piattaforme online
La crescita delle piattaforme online, quali Netflix e Amazon, e l’ingresso nel 2020 di Walt Disney con l’offerta Disney+ hanno avuto un impatto non indifferente sul segmento VOD determinando la riduzione della concentrazione del relativo mercato (l’indice HHI passa da 7.242 punti a 6.624).

Nella televisione a pagamento si sono evidenziate due dinamiche: la prima dovuta alla diminuzione degli eventi sportivi a causa delle norme anti-pandemia che ha determinato anche una contrazione pari all’8,5% degli abbonamenti (dinamica ulteriormente rafforzata dalla marcata contrazione della raccolta pubblicitaria sul mezzo con il -26,1%); la seconda è l’enorme crescita della fruizione di film e intrattenimento dovuta alla forzata permanenza in casa.

Le offerte televisive a pagamento sul web, anche in ragione dell’attrattività esercitata da altri contenuti premium (film e serie tv), presentano, infatti, un notevole tasso di crescita (+ 44,5%), determinando un superamento dell’idea del palinsesto e di programmazione degli eventi, insieme a una ibridazione di modelli televisivi.

Meno radio per lockdown
Anche nel settore radiofonico, nell’ultimo anno sono cambiate le abitudini degli italiani a causa delle restrizioni alla mobilità e, in particolare, delle riduzioni degli spostamenti in auto (-67% dell’utilizzo di automobili), dell’ampio ricorso al lavoro agile (+64% del lavoro in casa), nonchè per le limitazioni alle interazioni sociali che di fatto hanno comportato una maggiore presenza nelle abitazioni private. Solitamente l’ascolto della radio si concentra nei tragitti per raggiungere il luogo di lavoro e nelle fasce orarie mattutina e pomeridiana (cosiddetto drive time).

Durante la prima parte dell’emergenza si è osservata una contrazione del numero degli ascoltatori della radio (-17%) mentre è aumentato il tempo di ascolto da parte dei fruitori abituali. A fronte di tale riduzione si rileva un aumento dell’ascolto attraverso altri device quali la tv, lo smartphone, il pc, il tablet e gli smart speaker, con un consolidamento della fruizione nell’ambiente domestico.

Irreversibile la crisi della stampa
Quanto all’editoria quotidiana, l’Agcom ha censito 105 testate, per un valore complessivo di 1.103.826.466 copie (-13,4% rispetto al 2019). Anche nel 2020, nessun editore ha superato la soglia di legge stabilita al 20% della tiratura globale.

La crisi strutturale della stampa si sta comunque rilevando irreversibile e mostra di non aver beneficiato della accresciuta domanda di informazione dovuta alla crisi pandemica. Infatti nel secondo trimestre 2020 solo il 17,6% degli italiani ha scelto in media di informarsi sui quotidiani. Ammesso che lo possa essere, una consolazione sta nel fatto che il trend di riduzione nella lettura giornaliera dei quotidiani è comunque un fenomeno comune a tutti i Paesi europei: nell’Unione europea, infatti, si osserva un declino di 12 punti (dal 38% al 26%) nel periodo che va dal 2010 al 2018. Questi dati risultano certamente significativi anche alla luce del forte calo dei ricavi della stampa quotidiana e rendono evidente la crisi specifica che attraversa il settore. Andando nel dettaglio dei dati italiani appare evidentissimo il crollo dei quotidiani sportivi che risultano i prodotti più danneggiati dalla sospensione degli eventi e delle manifestazioni sportive. Da sottolineare che i quotidiani hanno visto incrementare enormemente la fruizione digitale e sul web tanto da aver rappresentato un canale centrale di informazione nella cosiddetta ‘dieta mediaticà durante la pandemia per il 61% della popolazione. Tuttavia, viene spesso privilegiata la fruizione online gratuita (quasi tutti i giornali online vedono crescere il traffico nel giorno medio) mentre le copie e gli abbonamenti digitali non compensano economicamente il calo delle copie cartacee.

Anche i ricavi degli editori derivanti dalla raccolta pubblicitaria online mostrano una flessione, in controtendenza – dice l’Agcom – rispetto a quanto realizzato dalle piattaforme, che invece esibiscono una crescita importante in questo ambito. E in questo scenario “l’Autorità è stata particolarmente attenta a vigilare sul pluralismo nei singoli aspetti. Partendo da quello che è definito pluralismo esterno, monitorando i principali indicatori di concorrenza”. In questo ambito l’Agcom ha rilevato che “c’è stata una sostanziale stabilità negli anni della concentrazione e delle quote di mercato degli operatori leader nei diversi ambiti”.

I tre settori del pluralismo
Quanto al cosiddetto pluralismo interno, che riguarda in maniera significativa gli obblighi della Rai in quanto concessionaria del servizio pubblico, la vigilanza di Agcom si è principalmente concentrata in tre settori: tutela del pluralismo, vendita degli spazi pubblicitari e applicazione delle disposizioni in tema di contabilità separata.

Per ciò che attiene al pluralismo sociale (che comprende il tempo di parola dei diversi soggetti nei telegiornali e più in generale nei programmi, offrendo un’immagine complessiva dello spazio disponibile sul mezzo televisivo alle diverse istanze sociali, politiche e culturali presenti in Italia) si rileva che, rispetto allo scorso anno, c’è stato un deciso aumento del tempo di parola della categoria “altri soggetti”, che arriva nel 2020 al 30% circa nei tg e quasi al 51% nei programmi, e una parallela notevole riduzione del tempo di parola dei partiti, passato in un anno dal 45% circa al 22% circa nei tg, coerentemente con lo stravolgimento, rispetto al consueto, dei temi all’ordine del giorno nel dibattito pubblico, dominato come detto dalla discussione sulla situazione epidemiologica e sulle sue conseguenze, sanitarie, economiche e sociali.

Relativamente invece al pluralismo culturale, l’Agcom “ha vigilato sul rispetto delle soglie minime di legge delle quote di programmazione e investimento in opere europee e di produttori indipendenti”. Si evidenzia, nello specifico, il superamento di tali soglie, particolarmente significativo per gli investimenti, risultati superiori al 96% rispetto al minimo previsto.

L’Autorità ha poi ampliato la sua azione nell’ambito dei media, rafforzando il presidio a tutela dei diritti degli individui e delle categorie più deboli e monitorando attentamente le problematiche della qualità e della varietà dell’informazione, le modalità di svolgimento del dibattito pubblico, oltre che esercitando una costante vigilanza sulle condizioni concorrenziali del settore, ancor più necessaria dinanzi alle sfide poste dall’evoluzione dell’ecosistema online.

Tale evoluzione costituisce “un tentativo di risposta” da parte dell’Autorità ai cambiamenti profondi del settore, “ai quali, tuttavia, non ha fatto sempre seguito anche un aggiornamento del quadro regolamentare, rispetto al quale solo in ambiti molto parziali e frammentati si sono registrati nel tempo elementi di novità”. E il disallineamento tra le regole e le dinamiche di domanda e di offerta finisce con il limitare “le possibilità di incidere efficacemente e in maniera preventiva sulle problematiche economiche e sociali legate innanzitutto all’evoluzione dell’ecosistema digitale e ai suoi impatti sui media tradizionali e sul pluralismo. Una risposta importate a questi problemi è rappresentata dalla direttiva sui Servizi di Media Audiovisivi (c.d. SMAV 2018) di prossimo recepimento nel nostro ordinamento e soprattutto dai due regolamenti Digital Services Act (DSA) e Digital Markets Act (DMA), proposti dalla Commissione europea il 15 dicembre scorso.

In ambito nazionale è intervenuto il decreto legge 7 ottobre 2020, n. 125, che ha dato una tempestiva attuazione alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 3 settembre 2020, che – nel pronunciarsi su una serie di questioni pregiudiziali sollevate dal Tar del Lazio – ha stabilito che la disposizione di cui all’articolo 43, comma 11, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi (TUSMAR), non è idonea, sotto il profilo della proporzionalità, a perseguire il fine di garantire il pluralismo dei media. I

n tale contesto, la nuova disposizione recepisce i principi affermati nella sentenza della Corte di giustizia e prevede un regime transitorio nelle more della più generale revisione della disciplina di settore. In attuazione della nuova normativa, l’Autorità il 15 dicembre 2020 ha avviato due procedimenti, rispettivamente, nei confronti della società Vivendi S.A., in ragione delle partecipazioni azionarie detenute dalla stessa nella società Telecom Italia S.p.A. e nella società Mediaset S.p.A., e nei confronti della società Sky Italian Holdings S.p.A., in ragione dell’attività svolta, attraverso le società direttamente e indirettamente controllate, nel SIC e nelle comunicazioni elettroniche. Ulteriori istruttorie sono state avviate in data 31 marzo 2021, al fine di verificare le posizioni detenute dal gruppo Fininvest S.p.A./Mediaset S.p.A. e dal gruppo Telecom Italia S.p.A. (AGI)

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