NAPOLI – «Siamo tutti Stefano, ci sentiamo tutti come lui. I pugni, gli strattonamenti, i calci inferti a lui, rappresentano i segni indelebili di una vile e inspiegabile violenza che ognuno di noi, infermiere innamorato del suo lavoro, sente sul suo corpo. L’ultimo caso di questo nostro collega, in servizio al Vecchio Pellegrini, e massacrato di botte lo scorso 20 gennaio da un paziente stanco di aspettare il suo turno, dimostra ancora una volta come la situazione sia insostenibile. Bastano una parola ritenuta fuori posto, una risposta ad una reiterata richiesta che arriva in ritardo, qualche minuto in più in coda in un affollato e caotico pronto soccorso italiano, a scatenare la rabbia incontrollata di persone che non hanno alcun rispetto per il lavoro degli operatori sanitari, che addossano a loro le responsabilità di un sistema sempre più fragile e li trasformano in un eterno capro espiatorio.

E’ emblematico che gli infermieri del Vecchio Pellegrini solo ieri siano scesi in strada “armati” di cartelli appesi alle loro spalle e con un significativo flash mob abbiano dimostrato la loro solidarietà al collega aggredito e soprattutto abbiano voluto raccontare alla comunità e alla stampa che non possono, non vogliono più tollerare tutto questo.

Il 14 gennaio al Cotugno, un paziente si scagliava contro una dottoressa e un infermiere accorso per difenderla. Il 10 gennaio un operatore sanitario veniva aggredito da un paziente che spaccava il vero del triage del pronto soccorso.

Un vero e proprio bollettino di guerra.

«Nell’autunno del 2019», spiega Antonio De Palma, Presidente Nazionale di Nursing Up, abbiamo fatto un’indagine, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha mostrato violenza fisica, minacce, insulti. Un infermiere su 10 ha confermato di aver subito violenza fisica sul lavoro, il 4% ha riferito di essere stato minacciato con un’arma da fuoco. Uno su due dice infine di aver ricevuto un’aggressione verbale». Gli infermieri sono la categoria più colpita perché sono numericamente maggiori e fanno un’attività di assistenza continuativa vicino al paziente.

La nostra richiesta, da anni, è quella di ripristinare le postazioni di polizia che una volta erano presenti in ogni pronto soccorso italiano. Oltre a un servizio di pubblica utilità perché ci può essere passaggio diretto dei referti per le denunce, sarebbero anche un deterrente per chi pensa di fare violenze».

La richiesta successiva, nel caso non fosse possibile ripristinare i posti di polizia, è quella di permettere la creazione di sezioni addette alla sicurezza all’interno di ogni azienda. Serve un sistema che possa essere allertato immediatamente in caso di minaccia per portare soccorso agli operatori in particolare al pronto soccorso».

Non è solo la sicurezza degli operatori a essere in gioco, ma anche l’incolumità dei pazienti che si trovano in quel momento in ospedale. Medici e infermieri devono lavorare in sicurezza per i loro pazienti. Bloccare l’attività di un pronto soccorso significa mettere a rischio delle vite. Anche pochi minuti di blocco possono causare la perdita della vita di una persona.

Gli strumenti devono essere preventivi e non solo punitivi nei confronti di chi attacca il personale sanitario. Sono familiari dei pazienti spesso e a volte anche i pazienti stessi. Pensano di poter violare le regole o di civile convivenza o quelle terapeutiche stabilite o vogliono dare loro indicazioni sulle procedure da seguire, a volte addirittura semplicemente perché si presentano in luoghi e orari dove non è consentito accedere. C’è chi arriva ad aspettare medici e infermieri fuori dagli ospedali per colpirli, c’è chi cova per anni desideri di vendetta verso un infermiere pianificando addirittura di assassinarlo».

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