“Dall’inizio dell’anno in carcere ci sono stati 21 decessi di cui 10 per suicidio (gli ultimi due nel giro di 48 ore all’Ucciardone-Palermo e a Monza).

È una “strage silenziosa di Stato” che si perpetua da anni e che è ancora più grave se si tiene conto che solo dall’inizio del 2022 si sono suicidati due agenti penitenziari”.

A sostenerlo è il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria – S.PP. – Aldo Di Giacomo ricordando che nel 2021 i suicidi in carcere sono stati 54 e 88 le morti per cause naturali, per un totale di 132 vittime, mentre nel 2020 i suicidi sono stati 62 con un totale di 152 decessi a cui si aggiungono alcune decine di migliaia i casi di autolesionismo e almeno il doppio di casi di interventi di agenti penitenziari che sono riusciti a sventare con prontezza e professionalità tentativi di suicidi.

“A risolvere questa emergenza sociale e civile – aggiunge – non può essere certo la recente sentenza della Corte d’Appello del Tribunale di L’Aquila che ha condannato per omessa vigilanza il Ministero di Grazia e Giustizia e quindi il carcere al risarcimento del danno in favore della famiglia di un giovane che nel 2011 si impiccò nella propria cella del carcere di Castrogno.

Anche per il suicidio all’Ucciardone si nutrono seri dubbi sullo stato di salute mentale del giovane detenuto già sottoposto a perizia psichiatrica, a conferma – aggiunge – che come accaduto per altri suicidi a rischio sono soprattutto quanti hanno problemi psichiatrici.

È da anni – dice Di Giacomo – che andiamo ripetendo che le carceri non sono strutture di cura psichiatrica e che questi detenuti non devono trovarsi qui. Ancora: gli istituti penitenziari necessitano, come abbiamo più volte chiesto ai Ministri Cartabia (Giustizia) e Speranza (Sanità), di personale medico e paramedico e di ambulatori attrezzati in primo luogo per le prime cure.

Uno Stato che non riesce a garantire la sicurezza della vita dei detenuti affidati in custodia per scontare pene giudiziarie testimonia di aver rinunciato ai suoi doveri civici.

Per questo – continua Di Giacomo – una sentenza della magistratura (il caso de L’Aquila) che condanna il Ministero non risolve nulla se non si dà attuazione ad un piano organico di intervento e di assistenza psicologica ai detenuti. Purtroppo dalla lettura della relazione conclusiva del prof. Marco Ruotolo, presidente della Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario istituita dalla Ministra Marta Cartabia siamo fortemente preoccupati per quello che accadrà con la cosiddetta riforma penitenziaria che prevede la trasformazione degli agenti penitenziari, nell’ipotesi più benevola, in “badanti” dei detenuti” e impotenti ad intervenire nella “strage silenziosa” che la politica con atteggiamento da struzzo finge di ignorare”.

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