NAPOLI – Le storie dei detenuti del carcere di Nisida proiettate il 28 dicembre al Capri – Hollywood nel film “Mirea”, per la regia di Salvatore Sannino e Mario Vezza, coprodotto da Antonio Acampora e Armando Ciotola del centro di produzione CinemaFiction Napoli, dal Teatro di Sotto e dall’associazione MetaMorfosi.

SINOSSI

Il film racconta la storia di Mirea, una ragazza di 16 anni che vive a Napoli, con sua madre Nunzia, in un basso del quartiere Petraio. Mirea è una pedina del Sistema, sostiene lei la sua famiglia vendendo tutte le notti la cocaina che nasconde ordinatamente sotto i battiscopa di casa sua. Durante un blitz notturno Mirea e sua madre vengono arrestate, la ragazza viene portata all’Istituto Penale Minorile di Nisida e Nunzia al carcere femminile di Pozzuoli. A Nisida Mirea divide la cella con Giulia, ragazza calabrese di una bellezza invadente ed aggressiva. Giulia si prende gioco di Mirea e la usa in tutti i modi per i propri interessi ed obiettivi. Il comportamento di Giulia e la vita carceraria influiscono sullo stato d’animo di Mirea, alimentando tensioni all’interno dell’istituto e conflittualità tra le due ragazze. Mirea avverte il desiderio di un cambio di passo, di fare scelte importanti per il futuro, guardando “fuori”, cercando stimoli dalla realtà esterna e dalle bellezze che circondano il carcere. Scrive una lettera a sua madre, sperando di avere da lei quel sostegno e quella guida che in passato l’è venuta sempre a mancare. Con il tempo, la solitudine costringe la ragazza a chiedere altro da se stessa e a farlo uscire fuori. Rischiando in prima persona. Il film – attraverso il racconto corale e diretto della condizione dei detenuti realmente ospiti a Nisida, fatto in prima persona dai ragazzi stessi e dalle figure che rappresentano l’Istituto – va ad indagare sui sentimenti ed i desideri di questi ragazzi, sulle loro passioni e la loro umanità, valorizzando gli elementi positivi che caratterizzano le loro vite e che la realtà circostante di Nisida vuole far loro risaltare. Sulla voglia di andare oltre le stereotipie che caratterizzano il comune sentire della gente sulla loro condizione di detenuti.

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