CAPRI – La mostra Fons vitae di Antonio Ievolella, che ha visto grande partecipazione anche grazie all’iniziativa della Direzione regionale Musei Campania di istituire due settimane di ingresso libero fino al 29 gennaio per festeggiare la riapertura dei musei e dei siti archeologici della rete, è stata prorogata fino al 30 aprile 2021 e, salvo diverse disposizioni legate all’emergenza Covid, è aperta al pubblico dal lunedì al venerdì, con esclusione dei weekend e dei giorni festivi, nel rispetto della normativa prevista dal DPCM 14 gennaio 2021 e dei protocolli Covid.

La mostra è realizzata in collaborazione con la Direzione regionale Musei Campania e con l’Ufficio Servizi Educativi della Certosa di San Giacomo a Capri, ed è a cura di Virginia Baradel, Valerio Dehò, Andrea Del Guercio.

L’allestimento ha come motivo ispiratore l’acqua e così i 30 otri di terracotta su strutture di ferro in sospensione sono dei veri e propri vasi – grembi che costituiscono la forma plastica scelta dall’Artista quale motivo ricorrente delle installazioni. L’otre diventa un dispositivo simbolico che allude all’uomo e alla sua unicità e, in particolare, al monaco nel suo silenzioso e volontario isolamento, pur all’interno di una dimensione collettiva. E se, secondo Alberto Savinio, Capri è uno dei punti magnetici dell’universo”, certamente questÂ’isola è la cornice perfetta per la mostra di Antonio Ievolella.

Fons Vitae è un’installazione complessa, ricca di significati. È costruita come una specie di corteo che procede di otre in otre penetrando negli spazi assorti, luminosi e sacri della Certosa di Capri. Rappresenta un culmine nell’opera di Antonio Ievolella che conduce con essa la sua arte verso una felice sintesi tra la solidità della forma plastica e l’intima trascendenza della forma simbolica. Anfore di terracotta, avvolte di segni, e canne di ferro che le tengono sollevate; corpi che conoscono la gravità e impalcati lineari che formano un ponte per tenerle sospese e farle avanzare nel solenne silenzio dei chiostri”, così Virginia Baradel, curatrice della mostra, descrive il progetto.

Il tema dell’acqua è centrale nel lavoro dello scultore Antonio Levolella. Ad essa ha dedicato opere monumentali assai importanti: due ghirbe giganti in ferro e rame di oltre 13 metri di altezza, sono state acquisite dall’Università di Padova e collocate nella piazza della Cittadella dello studente. La ghirba – l’otre, la borraccia – come contenitore per portare con sé l’acqua non è estranea, oltretutto, alla figura del pellegrino così importante nella vicenda e nell’iconografia di San Giacomo.

La vocazione metaforica dell’arte contemporanea, che in forma originale e sintetica riesce a esprimere una pluralità di significati lasciando, tuttavia, piena libertà di immaginazione al riguardante, appare quanto mai indicata per avvicinarsi alla ricchezza di contenuti evocati nella Certosa di San Giacomo. Levolella ha interiorizzato la pluralità di voci, la stratificazione di segni che si sono palesati nell’incontro con gli spazi monumentali della Certosa. Ne ha meditato l’unicità e la ricchezza, ha ascoltato gli echi e le peculiarità di quel luogo carico di storia, e ha individuato due fuochi che possono rendere conto della straordinaria polisemia che si percepisce nella limpida monumentalità delle architetture: l’acqua e il numero. L’Artista forgia una versione elementare dell’otre, una forma essenziale, pulita, vergine, che diventa potenziale testo dove saranno degli interventi materici e cromatici a guidare percorsi di senso, emozioni visive, brusii di storie sovrapposte. La loro combinazione rappresenterà i numeri, i momenti, la relazione tra lÂ’isolamento e la partecipazione, la solitudine silenziosa e assorta e il lavoro, l’operosità solerte e anche curativa nelle coltivazioni dell’orto dei semplici.

Dunque al tema portante dell’acqua si associa quello dei numeri: 7; 12 più uno; e la moltitudine di soggetti che nel corso dei secoli ha abitato o attraversato quei venerabili spazi; le innumerevoli e multiformi presenze che si sono succedute nei secoli alterandone la struttura e la funzione. “Il visibile e lÂ’invisibile sono uniti dal segreto dei numeri che li abitano. [Â…] Antonio Ievolella ha saputo cogliere in questo progetto due aspetti di forte spiritualità e di immenso valore simbolico. Le sette otri bianche della Cappella di San Bruno stanno per gli altrettanti monaci che seguirono il Santo a Roma allorché riuscirono ad ottenere il riconoscimento dellÂ’ordine certosino. [Â…] E il 7 è il numero sacro per eccellenza perché mette insieme il 3 della trinità con il 4 che simboleggia la completezza. [Â…] Questa fortissima componente simbolica Ievolella lÂ’ha realizzata anche con il numero 12. Nel chiostro piccolo 12 otri ricordano i corrispondenti padri che abitavano la Certosa di Capri a cui si aggiunge la tredicesima che sta invece per il Priore. [Â…] Del resto, scomponendo il 12 abbiamo 1+2 che fa esattamente 3. Per questo è un numero simbolo di unità e completezza.” (Valerio Dehò). Come afferma Andrea Del Guercio, l’installazione delle grandi anfore in terracotta nel Chiostro nella Certosa di San Giacomo e nella Cappella dedicata a San Bruno, non appare solo una conferma di un rigoroso percorso espositivo ma anche “il raggiungimento di nuovo risultato espressivo costruito sulla contaminazione e il reciproco arricchimento tra la cultura del lavoro e la percezione della storia, tra gli strumenti e i materiali antichi e l’eredità spirituale del luogo [Â…]”.

Cappella di San Bruno – LÂ’installazione consta di 7 otri in terracotta nelle quali domina il bianco in relazione al colore dellÂ’abito certosino e al numero dei compagni che seguono San Bruno nella Curia pontificia, luogo in cui il papa Urbano Il concede il breve apostolico, il primo documento pontificio che riconosce la fondazione dellÂ’Ordine certosino. Chiostro piccolo – LÂ’installazione consta di 13 otri, in relazione al numero dei Padri che abitavano nella Certosa di Capri, e del Priore, disposte al centro del chiostro a pianta quadrata, ove lÂ’importanza dellÂ’acqua è ben visibile per la presenza di un pozzo e dei canali di scorrimento, elementi fondamentali per la raccolta dellÂ’acqua piovana che dai tetti viene condotta fino alla cisterna del chiostro grande. Chiostro grande – Nel riquadro rettangolare accanto al finto pozzo, che un tempo ospitava il cimitero dei Padri, saranno collocate decine di occhi in ceramica dipinta, nellÂ’atto di guardare verso il cielo, metafora del Sole che trionfa sulle tenebre. LÂ’acqua e la luce alla fine si collegano, dunque, al trionfo della vita sulla morte. Il tema della
luce nella Certosa di San Giacomo è fonte della nitida visibilità, della plastica evidenza degli elementi architettonici, delle volte di apertura, dei pilastri e delle arcate dei chiostri. A tale diurna luminosità fa da contrappunto la luminescenza fonda, nascosta dentro alla materia, dentro all’acqua tempestosa. Pure nell’interno “uterino” degli otri si cela l’acqua che non si vede, che non ha luce sin tanto che non si espone sgorgando dal grembo-contenitore. L’occhio che vede la luce è legato a doppio filo all’otre, è della stessa sua natura plastica, materica e cromatica.

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